L'ambizioso Neige, chitarrista degli storici Peste Noire e Forgotten Woods, decide con questo recentissimo "Souvenirs d'un autre monde" di dare una svolta radicale al suo progetto solista Alcest, di spostarsi verso altri lidi rispetto al grezzo depressive black metal degli esordi, convergendo (quasi) definitivamente verso una sorta di alternative rock influenzato dalla scena shoegaze. E l'operazione risulta davvero riuscita: la musica proposta dal francese è poesia sonora in cui le chitarre ritmiche, come la batteria, sono sottofondo rumorosamente melodico, confusamente soffuso, una grigia amalgama di suoni dal quale traspare una voce malinconicamente cristallina, delicata, che non di rado pare nulla più che un limpido sussurro. Tra compatte spirali di riff distorti e penetranti, a tratti psichedelici, spiccano le note della chitarra acustica, che distintamente solitaria si erge ad'accompagnare il cantato di Neige.

L'atmosfera e le numerose emozioni suscitate dall'opera sono tutt'altro che oscure e funeree come il passato musicale dell'artista potrebbe suggerire, e invece di granitici muri sonori implacabilmente neri trovano qui spazio composizioni dal sapore dolcemente nostalgico, come suggeriscono i testi che sfiorano il poetico e il filosofico: il rievocare un passato idilliaco e la speranza sono solo alcuni dei temi che ricorrono nelle liriche di "Souvenirs d'un autre monde". Ricordi che affiorano alla mente già dalle risate infantili e gaie dell'opener "Printemps émeraude", che tra chitarre ora taglienti ora soavemente nitide delineano un'atmosfera eterea, o dalla spensieratezza solare de "Le ciel errant". Lucentemente nebbiosa e autunnale si presenta la titletrack, tra le più riuscite dell'album: intro semi-acustica, voce vellutatamente distaccata, sofferentemente monotona. "Lascia scorrere le tue lacrime un'ultima volta e raggiungi il mondo da cui vieni" sussurra Neige, prima dell'intermezzo, forse lo zenit dell'opera, tristemente onirico, la cui voce e melodia cullano dolcemente l'ascoltatore in un oceano di sensazioni suggestive e stranianti. E se in "Les Iris" si possono cogliere sfumature invernali e vagamente cupe dal sapore violentemente armonico e più infuenzato dal passato musicale del francese, tra tempi più frenetici e riff di ispirazione black sapientemente miscelati a soavi interludi, è ancora il sentimento di nostalgia che permea la successiva "Sur l'autre rive je t'attendrai", che vede l'azzeccata partecipazione della voce femminile di Audrey Sylvain, tra chitarre fluide e ripetitive e flebili duetti. Soprendentemente gioviale e cristallina si rivela "Tir Nan Og", suite cadenzata resa deliziosa dal contributo del pianoforte e dal retrogusto quasi ritmicamente tribale.

Tra immagini di verdi prati e fresche acque si conclude una sorta di viaggio interiore tra memorie passate, scomparse e da riscoprire, forse migliori di un presente più sofferto, che il ricordo può lenire e rendere fonte di speranza. Un'opera splendida e alternativa, la cui essenza può essere descritta a parer mio perfettamente grazie a questi famosissimi tre versi del grande poeta Leopardi:

"Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare"

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