Una delle poche consolazioni che offre la vita agra è che un uomo può sempre sognare. Tra le molteplici ragioni per le quali la notte trasuda fascino, vi è anche questa: la materia onirica (a occhi serrati, beninteso) ci è sempre ignota, sia perché a operare non è la nostra coscienza attiva, sia per la sua titanica vastità. Tutti noi siamo passati, nel corso del quotidiano oblio notturno, dal classico incubo in cui la vecchia prof. di storia mostra le sue curve sudate a dolci scenari erotici, sdraiati su cuscini di seta, circondati da procaci odalische. A questo punto, immaginatevi un sogno ineffabile, violento e surreale in una remota terra straniera. Condensatelo in musica e otterrete "Tripsis".

Provenienti da una scena spesso snobbata o trascurata come quella australiana (che ha sfornato band come i Destroyer 666 o i Rok, ragazzi tranquilli sempre pronti a deliziare i nostri timpani), gli Alchemist producono un album che si regge sulla loro classica combinazione di Progressive e avanguardia e ci presenta ancora una volta il loro sound più unico che raro, condito con una maggior dose di aggressività rispetto al precedente "Austral Alien". Un disco che si mantiene solo tangente al campo dell'estremo (più che altro per la voce in semi-growl dell'ottimo Adam Agius), senza però intersecarlo, e scorre implacabile tra momenti quasi epici e psichedelia, tra atmosfere futuristiche e ritmiche tribali. Sebbene le tastiere giochino un ruolo essenziale nel tessere la landa fantastica in cui viene proiettato l'ascoltatore, la colonna portante di "Tripsis" sono le chitarre magiche ed evocatrici del duo Agius&Torkington, da cui sgorgano arpeggi astratti e riff in grado di scaldare un cuore metallaro. 42 minuti da gustarsi con le palpebre chiuse e la mente libera, come se ci si trovasse dinanzi a un inesplicabile koan, passando dagli aspri sentieri di "Tongues & Knives" alle fluttuanti rovine celesti di "Grasp The Air".

"Tripsis" conferma che gli Alchemist sono, ora come ora, uno dei nomi di spicco dell'Avantgarde, in attività da 23 anni ma ben lontani dall'aver esaurito le idee e il proprio messaggio, espresso tramite sonorità costantemente divise tra luce ed oscurità, tra caldo e gelo. Certamente non il classico, squallido dischetto metalcore che si spara il bocia che si illude di ascoltare musica estrema, bensì un lavoro complesso e mutevole, consigliato a chi ama il Metal "cerebrale", o anche a un semplice avventore desideroso di avere un assaggio di sonorità bizzarre e particolari. Correndo il rischio, in questo caso, di rimanerne ammaliato.

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