Premessa

Sabato pomeriggio mi stavo preparando per uscire con T. (nostra prima uscita assieme) e discutere un po' di math rock prima di arrivare a sera - rientro imposto per le 19 - quando ho letto su Debaser la recensione di "Moby Dick" ed il commento del recensore Bartleboom, che ringrazio pubblicamente per la stima. Ho dunque telefonato a T. dicendo che avevo il mal di pancia, per cui non ci saremmo visti, e mi sono riproposta di scrivere una recensione sui "Promessi Sposi" del noto scrittore lombardo Alessandro Manzoni (ma non sarebbe il caso di dire Verri?), vissuto nel XIX secolo.

So già che molti dei lettori storceranno il naso e mi diranno "Ma come @#!? fai ad aver già letto i "Promessi Sposi" a soli quattordici anni - quindici a marzo - se, per lo più, un libro del genere viene passivamente letto dai giovani italiani in seconda superiore o, per chi fa il classico come te, V ginnasio?!?!?!? Ulteriore prova che tu sia altri (il nostro ex recensore Paolo)".

Così non è, in quanto, a prescindere dalla ormai dibattuta questione circa la mia identità (mi sembra peraltro assurdo che una volta tanto che una ragazza scriva qui sia presa per un maschio, ma problemi vostri. Date soprattutto l'idea di scindere femminilità da intelligenza!!!!!!), dovete sapere che mia mamma, nota lettrice non solo di riviste di moda, proprio quest'estate mi ha consigliato di leggere Manzoni per non farmelo rovinare dalla scuola e farmi una mia idea.

Dunque.

La trama

Vista la lunga premessa, non mi dilungo troppo, tanto più che davvero la conoscete tutti: due giovani provinciali comaschi intendono sposarsi, ma un nobile spagnolo di stanza in quel del lago si incapriccia di lei e tenta di mandare a monte tutto, con le cattive (senza le buone). Ne derivano vicende rocambolesche con il coinvolgimento di una sarabanda di personaggi, fino ad un finale in cui i buoni vincono e i cattivi perdono, benché redenti in punto di morte.

Il decalogo di Martina

Insomma. Non è che questo libro mi sia piaciuto troppo. Tento di esporne le dieci ragioni, anche se a voler essere cattiva il decalogo non è sufficiente. Comunque:

  1. storia totalmente irrealistica, nonostante le pretese di Manzoni. Nella realtà i bravi non sarebbero andati da don Abbondio, ma avrebbero direttamente ammazzato Renzo prima della fine della descrizione del ramo che "volge a mezzogiorno" (tipo Gomorra);
  2. idea della donna molto stereotipa: non so se avete notato come si passi dalla santa (Lucia), alla poco seria (Monaca di Monza), alla pazza (Donna Prassede). Nemmeno la mamma di Lucia ne esce fuori benissimo (secondo me le andava meglio don Rodrigo);
  3. idea semplicistica e populistica secondo cui il popolo, i poveri, sono vessati dai ricchi e potenti, dagli invasori che fanno i propri interessi sulle loro spalle. Certo, nella scena della rivolta del pane si fa capire che anche il popolo può divenire massa e far disastri, ma non basta. La realtà era forse più complessa: sia nel '600 spagnolo che nell'800 austriaco (tanto che a Milano non sono tutti contenti della fine del lombardoveneto e della dominazione austriaca, vedi Lega). Non è che dall'esterno venivano a rovinare tutto;
  4. idea antipatica dell'uomo medio schiacciato dalle leggi e dall'organizzazione statuale, quasi a dire che la società civile è meglio dei propri rappresentanti come i politici. Es. Renzo vs avvocato Azzeccagarbugli. Vero è che queste leggi erano lunghe e confuse, però non è che uno può venire dal paese in città con i due capponi (bella però la scena in cui i polli litigano senza sapere che verranno uccisi!)
  5. vicende tediose. Il trucco di mescolare una storia di base semplice basata con tante sotto-storie che si intersecano l'abbiamo già criticato ne "Il signore degli anelli": più concisione! Non è che per fare un romanzo devo metterci per forza centinaia di pagine - cosa che sanno fare bene solo i russi in pratica - posso essere anche conciso/a;
  6. come per Tolkien, c'è tutto sommato un certo manicheismo nei personaggi: buoni buoni, cattivi cattivi, con redenzione finale in cui tutto si mette più o meno a posto. Mah. Non mi convince: per esempio il fatto che Lucia, povera e sfortunata, non abbia mai fatto un pensierino a Don Rodrigo. Oppure che nessuno abbia chiesto a Renzo: ma Lucia la vuoi perché ti piace oppure ti incaponisci perché non la vuoi lasciare allo spagnolo?
  7. l'uso della lingua: l'ansia di creare una lingua elegante a fini educativi snatura quel poco di realismo che c'era nel libro (essenzialmente i paesaggi e la descrizione della vita quotidiana o dei personaggi secondari). Per dire, Renzo e Lucia parlano come due intellettuali quando erano chiaramente analfabeti, e, soprattutto, non c'è scarto fra i registri linguistici! In pratica i personaggi, a prescindere dall'estrazione sociale, parlano allo stesso modo. Manzoni doveva mescolare i linguaggi: Renzo e Lucia farli parlare in comasco, Don Rodrigo in spagnolo, i preti in latino etc.;
  8. il ruolo della religione: qui tocco un punto delicato. Su wikipedia ho scoperto che Manzoni era un giansenista, in pratica non era un cattolico tipico ma aveva qualche influenza protestante che lo portava, in sintesi, a dire: l'uomo può far di tutto ma alla fine è Dio a decidere come va a finire, ti salva e di condanna. Il che sposta il discorso sulla grazia e sulla sua casualità. La sintesi è questa: in realtà i personaggi del libro sono delle marionette, che non decidono proprio loro, ma sono molto aiutati dalla fortuna, da un qualcosa di soprannaturale che non possiamo controllare. Il che vuol dire che la persona non è responsabile delle cose che fa: es. Don Rodrigo non è cattivo di suo, ma è il destino che lo fa cattivo, e lo fa redimere alla fine. E' un romanzo troppo incentrato su questa idea di fondo. Il che mi porta a dire che
  9. c'è anche una morbosa attrazione per il mondo dei religiosi: dal prete privo di vocazione ma con l'abito talare per necessità (Don Abbondio), a quello divenuto tale quasi per espiazione e nevrosi (fra Cristoforo), passando per il santo (Borromeo, l'antenato di Lavinia!!!!!) e per il santificando in vita (Innominato) pare un po' eccessivo questo attaccamento alle figure tormentate. Da troppa importanza al mondo pretesco, alla centralità sociale e culturale dei preti. Mah;
  10.  antipatica, antipatica, antipatica la funzione educativa che, tra le righe, il romanzo vorrebbe avere. Non so, ma secondo me una certa mentalità italiana deriva da qui, o è accettata come fisiologica in romanzi come questo: essere passivi di fronte alle brutture sperando che arrivi il miracolo; essere convinti che la mediocrità dell'uomo medio possa vincere contro i furbi e i potenti rimanendo uomini medi; chiedere aiuto alla curia quando si è in difficoltà; perdonare anche i peggiori criminali purché si pentano alla fine. Non so, non mi convince.

Il voto.

Questa volta preferisco non darlo perché ho visto che scateno polemiche. Tendenzialmente sarebbe due. Salvo comunque le descrizioni dei luoghi e dei personaggi, un certa sapiente ricostruzione dei climi dell'epoca secentesca.

Più che leggerlo vedetevi lo sceneggiato di Nocita dell'89, con un superlativo Sordi nel ruolo di don Abbondio, e se non ricordo male Renzo Montagnani nel ruolo del marito di Donna Prassede, quello che poi muore di peste per troppa finezza intellettuale. Taglia tutte le parti inutili. Come grandi romanzi ottocenteschi puntate più su Verga, e, a quanto mi dicono, su De Roberto de "I Viceré". Comunque in Italia e Spagna non siamo eccelsi suoi romanzi.

Se proprio amate il lago di Como - come George Clooney e me: mi piace molto Bellagio - e non riuscite a vivere senza romanzi ivi ambientati, mi dicono siano molto validi quelli di Andrea Vitali. Se leggesse, ne regalerei uno a T. per farmi perdonare del mio mal di pancia.

 

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