Era da un po’ di tempo che nell’universo progressive rock/metal non si vedevano uscite che fossero davvero degne di considerazione, o quanto meno, quando uscivano dischi di grande valore la critica tendeva a mettere queste uscite in secondo piano, per dare ancora ulteriore risalto ai cosiddetti “mostri sacri” intenti a tirare fuori dei dischi che viaggiavano più o meno su livelli qualitativi bassini e non mi sto riferendo solo ai Dream Theater (troppo facile ricoprirli di critiche, sembra quasi stia diventando uno sport), ma anche a quei bands che ci erano sembrati infallibili, un nome su tutti? I Pain Of Salvation, gruppo che amo particolarmente, che con il loro ultimo “Scarsick” hanno toccato quello che, a mio personalissimo parere, è stato il loro punto discografico più basso.
In questo panorama che somiglia sempre più ad una distesa piena di piante secche e morte, riescono però ancora a sbocciare delle vere e proprie rose che rinverdiscono il paesaggio, mi riferisco a progetti quali Abydos, ma anche al side-project di cui parleremo nella recensione: gli Amaran’s Plight.
Amaran’s Plight altro non è che l’ultimo gruppo di una delle migliori voci in campo hard & heavy, mi sto riferendo infatti a quel DC Cooper che con la sua voce calda e suadente, capace di passare, con una semplicità disarmante, da toni bassi a vette vocali decisamente alte, mantenendo sempre quel senso melodico che da anni lo contraddistingue; accanto a lui poi troviamo una band di primissimo piano, vale a dire quel (passatemi il termine) DIO di Gary Wehrkamp anche in questo caso nelle vesti di chitarrista e tastierista esattamente come nella sua band madre gli Shadow Gallery, capace in questo disco di dare vita a dei passaggi melodici commoventi e allo stesso tempo estremamente ricchi tecnicamente e poi ancora al basso uno dei musicisti che ha dato maggior contributo in vari campi musicali ossia Kurt Barabas, gia bassista in Spock’s Beard, Tears For Fears e Genesis e Nick D’Virigilio alla batteria, impegnato anch’egli con Spock’s Beard e ancora Under The Sun e Fates Warning.
La band si forma ad Allentown, America, nel 2006, per comporre il suo album di debutto nel 2007, facendo capire al mondo che il progressive è vivo più che mai: questo “Voice In The Light” è infatti un esempio di come ancora oggi si possa essere estremamente personali ed originali in un genere che sembra già aver detto tutto quello che aveva da dire. La freschezza dell’album si percepisce già solo leggendo i testi del platter, che narrano la storia (è un concept-album, ricordiamolo) di un uomo che in seguito ad un esperienza vicino alla morte torna alla vita normale, cercando di capire ciò che gli è successo, ma cercando anche di sapere cosa ha in serbo per lui il futuro.
Musicalmente il full-lenght presenta varie sfaccettature, dal progressive metal tagliente dell’intro “Room 316”, in cui vero protagonista risulta essere Gary alle chitarre e alle tastiere, o delle tre suite rispondenti ai nomi di “Incident At Haldemans Lake”, nella quale si possono ritrovare anche eco dei Pink Floyd e Rush, questi ultimi per quanto riguarda la base ritmica, “Shattered Dreams”, più vicina ai canoni tipici di casa Shadow Gallery con dunque una grande ricchezza musicale e un gran numero di elementi barocchi che arricchiscono notevolmente la composizione ed, ultima ma solo in ordine numerico, “Revelation”, introdotta da un’incipit di piano che fa da preludio ad una song virtualmente divisa in due parti: una più melodica e riflessiva, dotata anche di una vena melanconica percepibile dall’interpretazione del cantante, e un’altra più potente e tagliente perfettamente inserita in un contesto musicale che tende a basarsi maggiormente sul lato emotivo e melodico.
Al contempo si trovano degli accenni ad un, passatemi il termine, progressive pop/rock come nella delicatissima “I Promised You” nella quale Cooper duetta assieme ad una voce femminile, con un risultato finale da lacrime. L’episodio si mostra dotato di linee melodiche dolci che sottolineano il senso di amore ritrovato da parte del protagonista per la sua donna: sono estremamente dirette le liriche, che non lasciano davvero dubbi sul fatto di trovarsi davanti ad una vera e propria canzone d’amore e ciò è maggiormente riscontrabile nel ritornello dove compaiono frasi come “I will love you every breath I take” o ancora “I promised you I will give you all of myself”.
Gli altri episodi, viaggiano poi più o meno sulle stesse coordinate di quelli nominati alternando le varie influenze, portate anche da musicisti con dei backgrounds musicali diversi tra loro, dando vita a tutte canzoni di assoluto rilievo.
E’ grazie quindi a chitarre classiche e elettriche, continue incursioni di piano, accenni ai più svariati generi (l’accenno ottantiano di “Consummation Opus” con quel tocco che riporta alla mente i Queensryche altro non è che l’ennesima conferma della volontà di far convivere svariati stili diversi), ma anche alla grande sensibilità di un ensemble di musicisti di prim’ordine che prende vita uno dei migliori dischi progressive degli ultimi, azzardo, 5 o 6 anni.
Promossi a pienissimi voti senza alcun dubbio, sperando solo che questo progetto possa continuare ad aver vita, perché nella situazione odierna del mondo metal, se ne sente davvero il bisogno di gruppi del genere.
Tracklist:
1) Room 316
2) Friends Forever
3) Coming Of Age
4) Incident at Haldemans Lake
5) Reflections
6) I Promise You
7) Consummation Opus
8) Truth And Tragedy
9) Shattered Dreams
10) Viper
11) Betrayed By Love
12) Turning Point
13) Revelation
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