La futilità di una vita passata a rincorrere gioie effimere, inglobati in una fittizia, frivola logica dell'apparire
più che dell'essere. Il gioco degli specchi, l'inganno di un'esistenza che rifiuta le verità scomode e raggira
se stessa come Platone insegna nel "Mito della caverna".
Si fà sera, le luci prendono toni soffusi; se ti và di uscire ti porto in quel bar in fondo alla strada. Solitamente
non c'è tanta gente, è poco frequentato, ma Mark è sempre lì, con la chitarra, la sua vita da borderline, la poesia
pronta a scaldarti il cuore. Storie di persone comuni, amori naufragati sul fondo di un bicchiere, la disperazione e
la disillusione nella vita e l'attaccamento ad essa (punto di convergenza di un impossibile ossimoro) nella voglia
di raccontare le sue sfaccettature, i suoi aneddoti a chi è pronto a prestar attenzione. Siediti qui vicino, ordina da
bere, sta scendendo l'oscurità e la "grande notte" incombe sulle nostre teste, sul nostro amore arrovellato nelle
proprie angoscie e debolezze. In queste ore oscure ti regalerò speranze e la promessa di tenerti per mano quando
le tenebre avanzeranno nelle nostre anime togliendo luce e certezze: "I'll be the shadow of your name..." ("Big Night").
L'energia del rock e la voce suadente ti conforteranno, non c'è alcun motivo per cui tu vada via, "outside this
bar there's no one alive..." ("Outside This Bar"), siamo qui per un preciso disegno, sei nato per amare, "you were born
with just one kiss" ("At My Mercy"). Il fumo confonde le poche sagome che si muovono qui dentro, le luci sempre più
basse giocano brutti scherzi resuscitando spettri dal passato, compagni di tragiche bevute (Gary's Song) e confessioni
incofessabili, "non c'è dignità quando si deve vivere entro i confini di un bacio" (Nightwatchman). In caduta libera, in
un percorso a ritroso, tocca fare i conti con la coscienza, accettare i propri fallimenti, "the same scene of failure
every night" ("Mom's TV"). La luce del giorno è ancora lontana e, nonostante la notte viaggi nella stessa direzione
dell'aurora, sembra impossibile che le tenebre cedano il passo al chiarore.
Scusate miei cari amici se mi sono concesso un diversivo dal mio solito percorso track-by-track , non soffermandomi
a dovere sulle eccellenti linee di basso di Pearson ("Big Night" fra tutte), sul talentuoso, validissimo chitarrista Vudi
(eccellente in "Asleep" e "Clouds"), sulla pregevole musicalità corale e omogenea che pervade l'intero disco ma,
la grazia, la potenza, il magnetismo delle liriche di Mark Etzel oscurano chiunque gli stia vicino.
Fragilità umane e prigioni dell'anima si alternano in Engine (Frontier, 1987) e in tutti i lavori targati A.M.C.
Un percorso tra le frustrazioni, i timori e le aspettative del genere umano, somatizzate nella figura di Etzel,
poeta prestato alla musica, anima dannata nel girone della vita che ancor'oggi ammalia chi è disposto a prestargli
un po' di attenzione, sorseggiando un bicchiere al banco, al solito posto, quello in fondo alla strada.
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