Ho imparato a amare gli Amorphis. Li ho conosciuti con il loro ultimo "Silent Waters", un disco dai colori grigi, spenti, che rievocano il lago sul quale nuota il cigno rosa della copertina; li ho ascoltati nella veste che li ha fatti apprezzare al grande pubblico, in quell'"Elegy" che sicuramente rimarrà tra le perle del metal odierno; ho ritrovato le sonorità oscure e malinconiche dell'ultima release in "Tuonela", un disco per me allo stesso livello (se non di poco superiore) a "Elegy", autunnale e meditativo. Ora questo "Am Universum", seguito non solo cronologico di "Tuonela", ma per certi versi anche stilistico. Proseguendo con la metafora dei colori, è al blu scuro che penso quando lo ascolto. Un colore però non compatto, bensì pregno di sfumature tendenti al rosa, un colore questo abbinabile almeno al nome di una band storica.

In effetti gia dall'apertura "Alone" emerge con robustezza il maggior riferimento che il gruppo ha in tutto il disco, i Pink Floyd. La band di Cambridge è percepibile in moltissime linee melodiche e in generale nelle atmosfere, a tratti devote alla psichedelia, altre volte più tendenti verso un rock progressivo che alterna sfuriate elettriche a sezioni più intime. Le chitarre liquide bagnano l'ascoltatore e lo circondano, sferzandolo più e più volte con bordate elettriche e massicci muri elettrici. Pasi, alla voce, abbandona totalmente il growl in favore di una voce in clean molto espressiva e versatile, che ondeggia tra un graffiante e sprezzante cantato a uno più recitato e tranquillo (impiegato in minor quantità).

Va subito detto che l'album è lontano dall'essere quel capolavoro che è stato "Tuonela" (solo per citare il suo più diretto precedente), ma ha comunque ottime carte da giocare.

Oltre alla già citata "Alone", aperta da un'intro eterea e sviluppata su linee generalmente aggressive e marziali, meritano anche una citazione "Goddes (Of The Sad Man)", notevole per l'interpretazione vocale e per le linee chitarristiche avvolgenti (unite a una sezione ritmica molto puntuale e ricca di cambi di tempo), e soprattutto "Shatters Within", traccia maiuscola in cui tutto il gruppo suona come se fosse in un momento di grazia. La traccia mette qui in risalto (forse per la prima ma non unica volta nel disco) la parte più triste e malinconica degli Amorphis. Testi molto espressivi, un ritmo incalzante e pieno di pathos (bellissimo il ritornello, arricchito da sezioni tastieristiche di indubbia atmosfera), chitarre tendenzialmente fluide e una generale aura dimessa e sofferente (seppur mai rassegnata) donano al pezzo la palma d'oro di migliore pièce dell'opera.

A seguire citerei "Crimson Wave", non tanto per la sua effettiva qualità (buona traccia, leggermente inferiore alle altre) quanto per il bellissimo break di sax che davvero porterà alla mente dei più, anch'esso, i Floyd della metà degli anni Settanta, "Drifting Memories", un pezzo davvero vicinissimo a quanto fatto in "Tuonela", intinto della sua stessa malinconia umorale, e "Veil Of Sin". Quest'ultima merita qualche parola in più. Pasi qui è accompagnato da un bellissimo pianoforte, che lo segue bene o male in tutta la traccia, soppiantato da un organo in un ritornello da favola, intenso, prorompente e poetico, di una forza espressiva pari a quello sentito in "Shatters Within", a tratti forse anche più completo, merito, ancora una volta, del bellissimo intervento del sax a metà chorus. Si percepisce qui un senso di sofferenza legata alla nostalgia di qualcosa non ben precisato, viene quasi da rincattucciarsi e raggomitolarsi in sé stessi, come se un freddo vento ghiacciasse le nostre membra, non riuscendo però a toccare il nostro cuore, ancora pulsante e carico di disprezzo eroico e di caparbietà.

Il finale, legato alla buona "Grieve Stricken Heart", rimettendo in campo tutti gli elementi finora sentiti nel disco, non fa che confermare la genuina qualità di questo prodotto.

Da band mutevole, senza forma precisa, gli Amorphis amano sperimentare e inseguire i loro idoli musicali, rielaborandoli al fine di arricchire un suono che si fa di album in album sempre più complesso e intenso. L'album, un "Tuonela" meno malinconico e più settantiano, è certamente un ottimo titolo, degno a tutti gli effetti di stare nella discografia del gruppo, che, veramente, sa sorprendere gli ascoltatori a ogni release. Di poco inferiore ai loro capolavori, ma non per questo degno di minore attenzione, anzi meritevole di ascolti prolungati e profondi, al fine di carpirne la vera profondità.

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