Non è esattamente un nuovo album degli Anathema, ma piuttosto una raccolta di vecchi brani del repertorio doom/death rivisitati in chiave sinfonica. E no, tranquilli, se per caso state già pensando all'esperienza frustrante e deludente di "Evinta", opera fin troppo ambiziosa e autocompiaciuta dei connazionali doomsters My Dying Bride, posso assicurarvi che "Falling Deeper" non ha nulla a che vedere con quel flop clamoroso, eccetto ovviamente l'idea di base.

Forse nelle prossime righe insisterò troppo nel confrontare i due lavori, ma lasciatemi almeno spiegare i motivi: Anathema e My Dying Bride sono stati entrambi due gruppi fondamentali per quel genere di doom gotico nato nei primi '90; tuttavia i parallelismi terminano lì, dato che i percorsi intrapresi negli anni successivi sono quasi opposti. Da una parte abbiamo un esempio di cambiamento, maturazione (musicale e non) e ricerca interiore; dall'altra l'ispirazione ha lentamente lasciato posto prima al mestiere, poi al manierismo e infine ai più beceri luoghi comuni. E mai come oggi tale differenza è stata così evidente: giunti a un certo punto della carriera, dopo vent'anni di attività, ecco la decisione comune di rivedere il proprio passato in un'altra prospettiva, con risultati che rispecchiano alla perfezione lo stato attuale delle due band.

"Evinta": un progetto di dimensioni gargantuesche i cui brani, oltremodo lunghi e pretenziosi, spesso risultano essere solo inconcludenti collage di melodie certamente familiari ai fan della Sposa, mentre gli arrangiamenti, seppur eleganti e raffinati, rasentano il kitsch, e le atmosfere tradiscono un'artificiosità di fondo. Ora immaginate tutto il contrario di quanto detto finora e avrete già un'idea di come suonerà "Falling Deeper". Gli Anathema hanno lavorato su un minutaggio abbastanza ridotto, e questo perchè gran parte delle tracce rivisitate (come "Kingdom", "We The Gods", "They Die" e "Sleep In Sanity"), inizialmente poderose e massicce, sono state spogliate, ridotte alla loro essenza e infine ricollegate intelligentemente al nuovo corso della band, in una dimensione squisitamente romantica e introspettiva.

Insomma, niente inutili lungaggini: lo scopo di "Falling Deeper" è quello di carpire lo spirito di ogni brano e racchiuderlo in impressioni ed istanti, focalizzandosi sulla sostanza a discapito della forma. Siamo sempre lì: "Falling Deeper", in 38 minuti scarsi/sparsi, convoglia un'intensità lirica che i My Dying Bride non sono riusciti a riprodurre in oltre il doppio del tempo e col doppio delle risorse. E anche a livello degli arrangiamenti il discorso non cambia: questo, come "Evinta", sarà anche un album "sinfonico", ma di fatto gli Anathema si sono solo affidati al tocco leggiadro degli archi e alla profondità del pianoforte, oltre ovviamente agli inserti di chitarra acustica o elettrica qua e là quando necessario. Il rischio di incorrere in vuoti barocchismi è quindi minimo: qui c'è solo spazio per la sincerità. 

La musica in "Falling Deeper" si sviluppa verticalmente, aumentando d'intensità secondo dopo secondo, per poi all'improvviso sparire abbandonandoci tra i flutti delle nostre emozioni che, se in un primo momento possono sembrare effimere, col passare degli ascolti acquistano valore e divengono sempre più uniche ed irripetibili. Ma che genere di emozioni? Forse qualcuno ha ancora in testa le melodie serene e paesaggistiche dell'ultimo album "We're Here Because We're Here", e non avrebbe tutti i torti: gli arrangiamenti difatti sono molto simili, ma i brani trattati restano pur sempre quelli originariamente doom, e la pesantezza di fondo a volte si fa sentire.

"Kingdom" si stempera solo in superficie, ma la sua cupezza resta immutata specialmente nell'incedere trascinato, solenne, battuto. "Sleep In Sanity" conserva le sue melodie gotiche e sinuose, stavolta però veicolate dalla trasparenza degli archi e dai vocalizzi eterei e sommessi dei fratellini Cavanagh, e i contrasti con la vecchia versione doom/death fanno un po' sorridere. "We The Gods", invece, spogliata delle sue fattezze doom è quasi irriconoscibile: talmente intimista e profonda che a tratti ho avuto l'impressione di ascoltare la continuazione della tristissima "Violence" (da "A Natural Disaster"), il che non mi sembra affatto un difetto!

Ma è negli episodi più semplici e sfuggenti che gli Anathema lasciano davvero senza parole: l'acustica "Everwake" brilla di luce propria grazie all'ugola d'oro della bella Anneke, mentre "They Die", a mio avviso la vera punta di diamante del disco, riprende ed affina gli ultimi due minuti orchestrali della versione metal e ci regala gli attimi più sublimi e preziosi di questo viaggio interiore. "Sunset Of Age" e "Alone" d'altro canto non riescono a stupire come le altre, forse perchè più lunghe o forse perchè troppo fedeli alle versioni originali, ma ad ogni modo nella loro veste più celestiale rimangono un bel sentire e non intaccano minimamente il livello qualitativo dell'album, specialmente la prima (tra le mie preferite del gruppo) che con le sue atmosfere apocalittiche e quel lancinante assolo in chiusura fa sempre la sua porca figura.

A questo punto della recensione, di solito, cerco di tirare le somme; credo invece che stavolta mi limiterò a tirare pomodori ai My Dying Bride...

(Inutile dirlo: ascolto obbligato per chi segue e ama gli Anathema.)

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