Non mi piacciono le autobiografie, ma dopo aver letto sul divanetto della libreria il primo capitolo non ho avuto dubbi ed ho acquistato Open di Andre Agassi. Ci sono svariate decine di milioni di persone che giocano meglio di me con una racchetta in mano, (sono stato solo un piccolo classificato quando la categoria più bassa era C4), ma aver gareggiato fin da tenera età, aver subito un pesante infortunio al polso tirando un dritto e aver smesso e ripreso per un lasso di tempo lungo almeno due decenni. Tutte queste cose credo mi abbiano fatto apprezzare a pieno “Open” e capire meglio di un neofita, o di un tennista della domenica, ciò Agassi cerca di descrivere nella sua opera. Ho praticato a livello agonistico 6 sport ed il tennis è quello più bastardo; vorresti odiarlo ma poi, magari a distanza di svariati anni, ti ritrovi ad aver voglia di cercare un suono; quello di una bella spazzolata sulle corde nel centro del piatto corde. 

Ho giurato tre volte di non toccare più le mie Head, tutte le volte con le lacrime agli occhi. La prima, quando ho perso una partita alla quale tenevo particolarmente e che vincevo 6-0 4-0. Negli altri sport è difficile che un match possa girare in un lampo, non qui. Fin da bambino ti insegnano a tenere la testa dell’avversario sotto l’acqua, non permettergli di risalire perché se nella tua mente si insinua il dubbio, finisci in un amen sotto la doccia. La seconda dodicenne quando mia madre mi ha fatto pesare il costo delle lezioni dopo una sconfitta del cazzo e mi ha fatto tornare a casa a piedi: i 5 km più lunghi della mia vita. Anche se non gliel’ho mai detto l’ho perdonata dopo oltre un decennio, quando ho realizzato che i genitori sono ciechi e non riescono ad accettare la mediocrità/normalità dei propri pargoli. La terza quando ho capito che non sarei diventato nessuno; perdere mi faceva troppo male visto che sputavo l'anima e non vedevo miglioramenti concreti. Ogni racchetta che da sbarbatello adolescente ho rotto, l’ho ripagata lavorando d’estate raccogliendo frutta.

E’ uno sport viscido che non ti regala nulla e quando Agassi dice che è come trovarsi su un’isola è una grande verità. Sei solo; in questa attività sportiva non hai il contatto fisico con il quale poterti scaricare: ho giocato a basket e calcio ed un bel blocco o un tackle serve a far andar via via la tensione. In questo rettangolo invece tieni tutto dentro perché giochi spesso a distanza di 15/20 metri dall’avversario e può capitare che non venga scambiata una sola parola, escluso il punteggio o le dispute per palle vicine alla riga, per oltre 3 ore. E allora parli con te stesso, ti inciti, ti lamenti, ti tormenti e cerchi con il body language di far incazzare l'avversario: un pugnetto, un'occhiata, un passante al corpo.

Se perdi contro una persona più scarsa tecnicamente non puoi dare la colpa alla squadra, all’allenatore che ha sbagliato modulo ecc… Sei solo e hai una rete del cazzo che non ti permette nemmeno di toccare l’avversario con la pallina. Nella pallavolo almeno puoi tirargli una sassata sugli avambracci, sulle dita o perfino in faccia se non sta attento in difesa. In questo sport non devi ricercare la perfezione di un colpo o di un gesto. Non basta avere il servizio più veloce degli altri, una resistenza superiore perché non esiste un tipo di gioco che sia vincente in assoluto. Devi adattarti, come argilla, all’avversario che hai di fronte e giocare sui suoi punti deboli più che sui colpi vincenti. Da ragazzino non lo capisci. E’ come gli scacchi quando devi giocare d’anticipo ed immaginare le mosse. Scannerizzi nel riscaldamento chi è dall'altra parte della rete, lo studi nei primi giochi e se è lento decidi di optare per drop shot e spostamenti laterali, se è alto back fargli piegare le ginocchia e contropiedi. Se è forte sul dritto massacrarlo sul rovescio e giocargli sul suo colpo quando meno se lo aspetta, magari nei punti importanti. Se si appoggia bene ai tiri piatti, fare delle variazioni e non permettergli di trovare il ritmo con palline senza peso con grandi rotazioni. Se va a rete cercare di abbassare i colpi senza cercare il passante, perché una voleé sulle scarpe mica la sanno fare tutti. Variare il servizio non solo con bordate ma con palle al corpo e kick esterno.

Chi dice che il tennis sia uno sport da signorine non lo ha mai praticato a livello agonistico. Oltre al lato psicologico è uno sport fisicamente tremendo. La resistenza ed il fiato sono importanti, ma non fondamentali, in quanto gli scambi raramente durano più di 30 secondi e ci sono tantissime pause che tuttavia non leniscono il fatto che una partita sia fatta di scatti, arresti ed accelerazioni su campi di terra e cemento che mettono a dura prova polsi, gomiti, ginocchia, anche, caviglie e spalle per non parlare dei muscoli delle gambe. Oltre a questo si aggiunge il fatto che uno sport asimmetrico nel quale tendi a sviluppare la parte destra o sinistra in modo palese. Le andature dei tennisti sono strane, sbilenche. Sulle mani e sui piedi si formano calli sui quali puoi accenderci un fuoco. E’ gioco di fatica, tecnica, strategia e testa.

Molti parlano di età dell’oro riferendosi al tennis attuale, ma oltre al talento smisurato di Federer vedo grandi atleti e ben poco estro. Il fatto che su tutte e quattro le superfici arrivino sempre i primi 4 è indicativo: c’è una spaccatura netta, invalicabile, che forse solo il polso sano di Del Potro avrebbe potuto scalfire.

Con un fisico fin troppo normale, 1 metro e 75 (spacciato per 1,80) per 70 kg di peso ed una vita sregolata Andre Agassi è riuscito a vincere 8 slam nell’era di Sampras, Edgber, Becker; quando c’erano “comprimari” del calibro di Chang, Stich, Courier, Rafter (il mio preferito), Muster, Ivanisevic, Enqvist, Henman, Kafelnikof, Kuerten, Moya, Rios. Quando si avviavano al tramonto chiodi da bara come Wilander, Lendl, McEnroe e Connors. Agassi è stato un incontrista unico, capace di giocare di controbalzo da fondocampo e far penare i migliori servizi del circuito. A 18 anni con pantaloncini in jeans e taglio di capelli alla moicana, in realtà un parrucchino, aveva già giocato una finale di un torneo del grande slam e due anni dopo aver vinto Wimbledon è riuscito franare al 150° posto mondiale godendo quasi del suo masochistico crollo. Massacrato dalla stampa e dai colleghi, con un divorzio alla spalle con la protagonista di Laguna Blu (Brooke Shields), diversi infortuni (polso) e con 3 slam all’attivo a 29 anni è ripartito dai challenger per tornare nr. 1 e conquistare altri 5 trofei. Come cazzo ha fatto? Agassi.

La scrittura è piacevole, stuzzicante nel raccontare in modo diretto dissapori con i colleghi e segreti mai resi pubblici. Nella descrizione delle sue amicizie (con il preparatore atletico Gil e Brad Gilbert soprattutto) e degli amori riusciamo a comprendere meglio la contorta mente di questo personaggio sportivo dal talento smisurato e dal rendimento più che ondivago. Obbligato da un padre malato di tennis a colpire fin da 7 anni 2500 palline al giorno Agassi ha progressivamente odiato questo sport imposto come una medicina che lo ha privato di una educazione, di un’infanzia e di una vita sociale. Imprigionato in un’accademia/prigione ha cercato invano di farsi espellere con comportamenti assurdi, per poi rendersi conto che ormai era condannato a diventare un professionista non avendo sviluppato nessun’altra abilità che gli potesse fruttare qualcosa. La sua più grande difficoltà, come spesso accade ai giocatori talentuosi, è stata quella di trovare i giusti stimoli per essere centrato sulla sua professione e sul suo gioco. Il look eccentrico come maschera nei confronti della sua timidezza per un carattere permaloso, capace di essere fedele nell‘amicizia come nell‘odio viscerale.

La vita di Andre è stata proprio un gran bel casino e l'autobiografia riesce a racchiudere l’essenza cinica, bastarda e irresistibile di questo sport senza annoiarci con una incolore sequenza di vittorie epiche e sconfitte cocenti. Oltre 20 anni di ATP la maggior parte dal sapore melanconico; come se non fosse mai riuscito a godere dei suoi successi, accettare le sue innumerevoli sconfitte con Sampras, fino all’incontro con Stefanie Graf capace di infondergli quell‘equilibrio e quella normalità che aveva sempre cercato invano.

Dubito che abbia scritto una sola riga, non ho creduto a tutto quello mi ha spacciato essere la pura verità (specie quando tende a giustificare le sconfitte), ma è un gran bel libro per un personaggio che ha dato un'immagine moderna e graffiante al tennis!

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