"Ehi, ma tu sei il papank?"
Stavo uscendo di casa. Ho pensato solo: proprio vero che i figli "so ppiezz ‘e core".

Il papank e la mamank sono solo due delle felici trovate che Andrea Mingardi, bolognese classe 1940, ha inserito in questo 45 giri dal titolo eloquente di "Pus".
Era il millenovecentosettantotto. Mentre fuori torme di giovani e di lavoratori assistevano inconsapevoli al tramonto di un'epoca, che avevano colpevolmente scambiato per il sorgere del sol dell'avvenire, Mingardi, che aveva abbandonato già da qualche anno il rock e il blues degli esordi, si dedicava a comporre canzoni in dialetto bolognese, a volte ironiche, a volte nostalgiche, a volte difficilmente classificabili, come questo "Pus".

Sbaglia di grosso chi sbrigativamente definisce demenziale questo 45 giri. No, è piuttosto l'interpretazione di un fenomeno (il punk) visto attraverso la vetrata di un bar tradizionale, fra il biliardo e la Gazzetta dello Sport. In questo contesto quello che può saltare all'occhio sono gli aspetti più evidenti e bizzarri, che vengono ovviamente estremizzati e messi alla berlina dal testo della canzone. Tuttavia non c'è, in Mingardi la volontà di canzonare gratuitamente, ne tantomeno di insultare qualcosa di cui, a Bologna, si intuiva la portata.
Si può parlare di un'ironia bonaria, che ricorda  più "Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi" che non la rigidità miope ed isterica che da viene passata sotto il nome di "educazione".
In ogni caso, il testo contiene almeno una frase piuttosto illuminante:
"Io sono un brufolo sulla vostra pelle, voi mi schiacciate e viene fuori il pus ".
E' una lettura un po' romantica e giovanil-giovanilistica, ma quale migliore metafora per simboleggiare il punk come anomalia che proprio nel momento in cui viene emarginata e ridicolizzata, rivela le contraddizioni insanabili del tessuto sociale ed interpersonale in cui è calata? (ricordiamo che siamo nel ‘settantotto', mica cazzi!)

Dall'altra parte i giovani manigoldi che in quegli anni avevano la fortuna di essere folgorati dal verbo del "nuovo rock", come prendevano quell'evidente parodia?
Bè, penso che desse fastidio a ben pochi. Nessuno ci vedeva un'onta da lavare, un dileggio di cui offendersi.
E poi anche all'ascolto, il disco suona piacevole: Intendiamoci, non aspettatevi certo "I'm Stranded".
Più che punk, ci si ritrova un rock robusto e metallizzato, dal tocco italianissimo, impreziosito dalla voce rauca e tortellina di un Mingardi scatenato.
Gli ortodossi del punk, Gli alternativi fondamentalisti, capaci di scatenare la Jihad per una battuta o per un riff di troppo, erano ancora di la da venire. Solo a metà dell'innominabile decennio successivo si sarebbe formata quella cricca di duri e puri, di attivisti senza politica, di cavalieri senza cavallo, che avrebbero ridotto ogni forma di (sotto)cultura giovanile ad una macchietta, buona tuttalpiù per provocare qualche sacrosanto sgombero da edifici che meritavano ben altri usi.

Si, anche Mingardi era tollerato, anzi, anche Mingardi era un Vero Punk TM.

Non stupiamoci, era un mondo dove la decontestualizzazione veniva spontanea agli adolescenti, dove nascevano situazioni degne del "Cabaret Voltaire" senza che nessuno sapesse nemmeno il significato della parola Dada.
Come definire allora quattro ragazzetti che vanno a Londra, ed invece di sbavare per gli eroi del rock, invece di baciare il suolo davanti al 100 Club, se ne sbattono di tutti ed improvvisano un falso concerto per strada, con chitarre di cartone, distruggendo tutto in pochi minuti e finendo arrestati dai solerti Bobby inglesi? Come concepire una punk band che organizza un concerto fantasma e tappezza i muri della metropoli di volantini, al solo scopo di generare tensioni e godersi lo spettacolo di punk, autonomi, fascistelli e rocchettari che se le suonano di santa ragione?

Se ci penso bene, non credo nemmeno io che sia esistito veramente.

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