Blonde è un biopic a tesi su Marilyn Monroe.

Un'opera a tesi (dramma, saggio, film, ecc.) è un'opera in cui non si presentano dei materiali e se ne lascia il giudizio al fruitore, bensì si presenta un giudizio già univoco e il fruitore deve solo accettarlo. È un modo offensivo di narrare, perché presume che il fruitore sia stupido o, peggio, che l'autore sia più intelligente del fruitore: "Adesso te la spiego io questa cosa che nessuno mai aveva capito, solo io l'ho capita, «io sono un genio e tu sei scema»", tipo Danny DeVito in Matilda 6 mitica.

Blonde è un film a tesi, e della peggior specie, perché prende una storia vera e la taglia, cuce, rimescola, aggiunge, toglie, inventa, esalta, mente e in generale modifica tutto quello che vuole al solo scopo di esporre la propria morale ovviamente bacata e (immancabilmente!) reazionaria: Marilyn era una poverina che voleva solo fare la mamma, ma è rimasta vittima degli uomini.

Ma Marilyn non era una poverina e, anche se ha avuto una vita sentimentale sfortuna, è stata piuttosto vittima dei mass media, che l'hanno trattata come una merce da viva e la trattano tuttora come una merce da morta. In questo senso, Blonde non è altro che l'ennesimo e probabilmente nemmeno ultimo figlio di questa progenie volgare e speculativa, e infatti sposta interamente la colpa sui partner di Monroe dipingendo i mass media solo sotto una luce favorevole, come le trombe che hanno celebrato il successo della diva. Perpetuare lo stereotipo.

Qua Andrew Dominik, regista mediocre con una carriera mediocre e che per sua stessa ammissione prima di dirigere Blonde non aveva mai visto un film con Marilyn Monroe (???), si permette con un'arroganza insopportabile di pontificare su quella che è una delle più importanti personalità dell'intera storia del cinema e della cultura popolare del XX secolo senza averne compreso assolutamente NULLA e, già che c'è, spara anche qualche cazzata di una supponenza sconvolgente tipo che Gli uomini preferiscono le bionde è un film su «puttane ben vestite». Una ignoranza a dir poco aberrante sul cinema del passato, sulla sua semiotica, sui suoi topoi e in generale sul tipo di linguaggio fortemente astratto che utilizzava.

Se questo non bastasse, c'è la selezione specifica di eventi della vita di Monroe. Dominik ha dichiarato di essersi basato interamente sul romanzo biografico di Joyce Carol Oates: tanto peggio, perché così ha dimostrato di non essere nemmeno in grado di rielaborare criticamente il materiale di partenza. Niente del pensiero, della cultura, dell'intelligenza fisica, del talento imprenditoriale, del ruolo nella storia del cinema di Monroe è mostrato (solo qualche accenno volante al fatto che fosse una lettrice forte): quello che fa Dominik è prendere un'icona e usarla come paradigma della mercificazione del corpo femminile attraverso la più becera psicologia spicciola (padre assente + madre pazza = figlia fragile e ninfomane) e mostrando il tutto attraverso una serie di scene violente e/o erotiche e/o moralmente ricattatorie nei confronti del fruitore. Esempi? Marilyn poliamorosa a gambe aperte 24/7 coi due figli di Chaplin (mai successo), Marilyn va con tutti e poi deve abortire più volte (mai accertato), Marilyn schiava erotica di JFK (mai provato), Marilyn povera oca ignara di essere reificata nei film (era del tutto consapevole di quello che faceva), eccetera eccetera eccetera.

Menzione a parte per la scena (spoiler, ma chissenefrega) in cui il feto da dentro la pancia parla a Marilyn e le chiede di «non far[gli] del male come l'altra volta»: QUESTA COSA FA SCHIFO e umilia le donne che hanno scelto o, molto più spesso, dovuto scegliere di abortire trattandole come assassine. La scelta di mostrare un disturbante feto parlante dentro la placenta, poi, non ha niente di diverso dai poster e dai post social dei vari gruppi pro-life. La situazione peggiora ulteriormente, se possibile, considerado il contesto in cui si svolge la scena, ovvero Marilyn vestita d'azzurro nel suo giardino recintato mentre pota una siepe di rose rosse. Ora, la "Madonna del roseto" è un tipico soggetto allegorico medievale che vede la Vergine Maria solitamente vestita d'azzurro nel suo hortus conclusus (giardino recintato) circondata da rose rosse, suo attributo iconografico. Il riferimento alla Madonna del roseto non può essere un caso, sia perché le rose vengono inquadrate insistemente più volte, sia perché usate per incornicare il volto di Marilyn in una sorta di aureola, e nonostante il parallelismo fra Marilyn e Maria sia di per sé effettivamente molto affascinante, in questo specifico contesto assume un significato vomitevole perché implica che il feto sia il figlio di Dio concepito dallo Spirito Santo celeste (in una scena precedente si vedono le stelle che diventano spermatozoi) e dunque che la madre, ancilla Domini, non si debba permettere di intralciare il figlio-Gesù, ovverosia che non abbia alcun diritto e alcun controllo sul proprio corpo: odioso, vetero-patriarcale, reazionario, male gaze, stronzo.

Molti giornalisti, e soprattutto giornaliste hanno recensito con sconcerto il film. Cady Lang su Time è stata costretta a scrivere un articolo di debunking delle cazzate di Blonde; Amanda Hess su The New York Times ha espresso disgusto per la palese propaganda antiabortista col feto in CGI; Anna Bogutskaya su BBC Culture ha dovuto mettere nero su bianco che Monroe era «un'icona incompresa» (perché non tutti ci arrivano da soli, a quanto pare) e sintetizza molto efficacemente Blonde come «torture porn con un po' di patina hollywoodiana».

È questo che irrita: prendere una storia vera, trasformarla in una fanfiction porno e venderla come un film glamour (mentirei se dicessi che le immagini non sono esteticamente belle). È MORALMENTE INACCETTABILE, esattamente come successe con l'altrettanto inqualificabile The Danish Girl. Vuoi fare un film col nobile scopo di condannare la sessualizzazione del corpo femminile? Ottimo, ma ti inventi una storia, non ne sfrutti una già esistente e già tragica di suo per manipolarla biecamente ai tuoi soli scopi, alla tua tesi.

Questa gente la deve smettere di danneggiare cose che non conosce, non capisce, non ammira, non rispetta, non ama, perché poi esce fuori sempre la monnezza. Esattamente come coi remake live-action della Di$n€¥: filmacci girati da persone di un'ignoranza colossale verso quello che, a loro dire, vogliono migliorare senza averlo capito. I remake live-action Di$n€¥ sono monnezza, Blonde è monnezza.

Commenti sparsi: i valori tecnici sono davvero alti (trucco e parrucco inclusi), le ricostruzioni storiche accuratissime, la recitazione buona, la musica di Nick Cave eppure orrenda. In pratica il film è ben fatto, ma sempre monnezza resta.

L'unico motivo per cui attribuisco a Blonde una stella invece di zero stelle, ovvero il voto che dò di solito ai film offensivi verso lo spettatore, è solo la presenza di Ana de Armas: è di una bellezza, di una bravura, di una sensibilità umana e attoriale (e anche di una somiglianza alla vera Monroe) a dir poco sconvolgenti. Mentre vedevo il film ho pensato per tutto il tempo «Questa è l'attrice migliore del mondo». È incredibile. Se non vince un Oscar così non so cos'altro debba fare. In pratica, io spero che vinca l'Oscar e poi, fra dieci anni, dichiari in un'intervista che in realtà odia il film e ci ha recitato solo per mettersi alla prova come attrice: la amerei ancora di più di adesso.

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