I vantaggi di trovarmi dove mi trovo sono tanti. Innanzitutto l'ubiquità: non mi annoio perché ho la possibilità di essere in ogni luogo. Giù, per le distese verdi chiaro, con quei fiori perlacei che profumano come non mai. Giù per la costa annebbiata di un chiarore mattutino perenne. Oppure dentro foreste interminabili in cui fingo di perdermi. Improvvisamente si fa silenzio tutto intorno e gli altri figuri scompaiono come per incanto. E mentre mi trovo qui, sono anche là. Presso una montagna altissima sulla cui cima, che raggiungo senza fatica alcuna, ritrovo lo stesso bianco intenso che c'è anche più in basso. Ovunque si ha la sensazione di essere sospesi, come danzatori che sembrano non toccare mai terra con i loro pattini volanti. E soprattutto la solitudine non esiste, dissipata costantemente da una indecifrabile contentezza. Vien da sé che il dolore tutto è un concetto lontano, impalpabile. Ma non è vero che si perdono completamente i sensi: tutto quello che prima conoscevo solo toccandolo o guardandolo ora lo posso percepire attraverso odori intensi e una coerente armonia che domina questa grande infinita immensità. Il solo elemento invariabile è però il suono di quella che un tempo chiamavo musica, come se fosse un oscuro mistero che mi fa trattenere dentro un briciolo di ricordo. Perché, purtroppo, mi son accorto di soffrire sempre più spesso di dimenticanza. Afferro delle candide nuvole passeggere per cercare di fermare delle immagini poco nitide, forse sono le impercettibili memorie di quello che ero.

Improvvisamente non sono più solo, ma in ogni angolo di questa piana selvatica - ma allo stesso tempo accogliente e piena d'amore - appaiono delle luci ancora più forti del bianco persistente. Queste luci iniziano a contornarsi, fino a raggiungere la forma di qualcosa di più definito, non del tutto, ma comunque riconoscibile. Sono figurine sparse, prima sporadiche poi via via sempre più concentrate e numerose. Ci passo accanto e un calore intenso definisce meglio anche me, come se stessi prendendo fuoco. Accidenti, quante sono! Non c'è un limite, e non ci poniamo nemmeno il problema. Ognuna di queste figure è impegnata in una qualche attività: c'è chi delicatamente si gode lo scorrere del fiume, rimanendo su di esso sospeso; c'è chi, in coppia, procede lentamente comunicando attraverso buffi gesti, come due che si confrontano su le più disparate questioni, quali non è dato saperlo; c'è chi pare steso, supino, e se ne sta così molto a lungo, non potresti mai dire quanto: così tanto che un tempo mi sarei chiesto come non si possa annoiare un uomo che si comporta in maniera così singolare, persistendo in un'azione così monotona. Ma qua, la noia, così come il trascorrere del tempo, non c'è. Poi mi si avvicina una di queste figure, non so come - sapere o non sapere non fa differenza nel luogo in cui mi trovo - ma lo riconosco: è mio fratello, che altrove chiamavo Robin.

In questo posto non ci sono leggi, non c'è un regime. Ognuno sta, basti questo, e sta come vuole. E soprattutto, qui ognuno può realizzare quello che desidera; basta uno schiocco, uno scintillio di fiaccola, e come per incanto dinnanzi a sé tutto è come deve essere. Così, ora non mi interessano le correnti dei fiumi, così tortuose, o i laghetti fermi tutti intorno, non mi preoccupo delle vallate e le meraviglie dei sensi, mi accontento invece di essere e di essere insieme a mio fratello Robin. Di lui, come di tutto il resto, ho un ricordo, sì, ma non preciso e definito, così lui lo stesso nei miei confronti. Ma qualcosa mi dice che tra noi ci sia un legame ulteriore. Ci sfioriamo con le nostre code infuocate e ardenti e lì, di fronte a noi, si materializza un'enorme struttura, sulla cui facciata un'insegna, anche lei luminosa, dice: <studio di registrazione>. Oltrepassiamo la soglia, come fosse il portale di una qualche altra dimensione nella dimensione, e ogni cosa mi appare familiare: una chitarra, una batteria, un basso, un microfono. Delle tastiere. Da un'altra porta, all'improvviso, l'ennesimo bagliore fa la sua apparizione, con un'aura di estrema positività: e riconosco l'altro mio fratello, Maurice. Così, a turno, ognuno di noi si mette a fare quello che sa fare meglio: io e Robin iniziamo a cantare, contendendoci ambiziosamente il microfono, mentre Maurice si mette alla tastiera.

Ho dato inizio a una beffa
che ha fatto piangere il mondo intero
ma non mi sono accorto
che beffavo me stesso, oh no

Inizia a recitare questi versi Robin, che in vita doveva essere più grande di me, il fratello maggiore. Nota dopo nota, viene accompagnato dalla tastiera di Maurice. Io rimango un poco in disparte, con fare di ammirazione e sentendo nel mentre crescere in me quel calore intenso, quasi languido.

Ho cominciato a piangere
e ho fatto ridere il mondo intero
oh se solo mi fossi accorto
che beffavo me stesso

Ho alzato gli occhi al cielo
passandomi le mani sugli occhi
e sono caduto dal letto
facendomi male alla testa
con le cose che avevo detto

Tutto a un tratto il ricordo immane mi colpisce assiduamente, e sento la mia entità indietreggiare, sconvolta da un'ansia gigantesca e incontrollabile. Quelle note, quelle parole, quel mistero musicale di cui prima vi ho parlato, ora mi apre le porte della memoria. Rivedo noi tre, io, Robin e Maurice, nel lontano 1979, che incendiamo il palco insieme al nostro fratello più grande, Barry, dinanzi a una folla numerosa e straripante. Siamo delle star con milioni di fan in tutto il mondo, facciamo una musica che va per la maggiore in quel periodo e di cui siamo gli esponenti più in voga.

Fino a quando sono morto
e il mondo intero ha cominciato a vivere
oh se solo mi fossi accorto
che beffavo me stesso

E intanto Robin continua il suo canto, e io ricordo ancora quanto adorassi proprio questa canzone. Sto vivendo il sogno dentro un sogno, eppure mi sento sveglio. Non è come quando quelle notti, in Australia, chiudevo gli occhi e prendevo sonno. Ora mi sento splendere più che mai. Ricordo anche quando, per l'ammirazione che provavo nei confronti dei miei fratelli più grandi, iniziai anche io a fare della musica. Scrissi alcuni pezzi per conto mio, ma più di tutti era mio fratello Barry, il mio modello, a scrivere per me. Ma che succede? Cos'è questo velo di tristezza? Com'è possibile nel luogo in cui sto, qui, insieme a Robin e Maurice? Barry... tu non ci sei, non sei una di quelle figure che scalda questo ambiente, non hai i contorni del Sole. Ora sei un pensiero, l'unico tassello che mi fa percepire una qualche misura, nonostante io sia dove spazio e tempo sono completamente annullati. Tuttavia, con le altre figure sento come una vicinanza, mentre tu sei lontano. Sapessi quanto volevo assomigliarti, il bene che nutrivo per te, caro fratello. Grazie al supporto della mia famiglia ho fatto uscire questo disco, ne ero soddisfatto, volevo che celebrasse più di ogni altra cosa l'amore e la gioia, ma anche che fosse il segno indelebile del rispetto che provavo e provo tutt'ora per te. La danza delle ombre, così si chiamava. Ingenuamente pensavo che parlasse di un qualche rapporto amoroso, invece ora mi rendo conto che parlasse prima di tutto al tuo cuore.

Mi hai fatto guardare quel paradiso nei tuoi occhi,
stavo inseguendo la tua direzione, non ti stavo dicendo alcuna bugia
e ti amavo

Ebbene sì, ora sono io stesso un'ombra. Probabilmente, laggù, deve essere trascorso diverso tempo, ma, come ti ho già detto, di questo, qui - se poi un qui esiste - non c'è sentore. Penso di aver capito che durante il passaggio in questo candore infinito tutti noi dobbiamo andare al di là di una sorgente, passare sotto una cascata e, finalmente, saremo rinati una seconda volta. Eppure è strano, secondo questo ragionamento ci dovrebbe essere una sostanziale lontananza tra me e tutti voi che siete nell'altrove. Non è così, ne sono sicuro; non si potrà mai essere realmente distanti dal cuore di chi ci ha voluto bene. Così te, Barry, e tutti voi che mi avete amato in modo sincero quando ero là, proprio tra voi, continuate ad ascoltare la mia musica: è lì, in quelle atmosfere, che nella maniera più vicina all'assoluto si annullano lo spazio ed il tempo.

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