Con questa prima DeRecensione pare che io abbia il piacere nonché l'onore di portare giustizia ad una grande opera musicale che, per qualche assurdo motivo, non è ancora stata descritta in questo sito. Sto parlando di "The Geese And The Ghost", primo lavoro solista dell'ex-Genesis Anthony Phillips, che vede la luce al tramonto dell'era progressiva; siamo infatti nel 1977.

Sono passati ormai ben sette anni dall'uscita di "Trespass" e dalla conseguente decisione di Anthony di allontanarsi dalle scene pubbliche, probabilmente per evitare l'ansia e lo stress causati dalle frequenti esibizioni, anche se l'ipotesi che ci fossero incomprensioni con il leader del gruppo Peter Gabriel non sembra sia totalmente da scartare. In questo lasso di tempo il chitarrista si è immerso nello studio della musica classica, diplomandosi e trovando impiego come docente al Royal College of Music di Londra. Nonostante questo chiarisca che il suo allontanamento dalle scene non abbia per nulla significato anche un distacco dalla musica, è solo nel 1977 che Anthony torna in sala d'incisione (o meglio chiatta d'incisione visto che lui e gli altri musicisti presenti alla realizzazione del disco si ritrovano a dover registrare su di una chiatta galleggiante per ovviare alla mancanza di uno studio, a conseguenza del totale disinteresse delle case discografiche) per eseguire quello che inizialmente avrebbe dovuto essere un progetto di collaborazione tra lui e l'amico dai tempi della Charterhouse Mike Rutherford. Come sappiamo il lavoro che ne uscirà sarà pubblicato su LP singolo a nome di Anthony, diventando il primo passo di quella sua "passeggiata musicale" a suon di accordi che dura ancora oggi.

Questo disco ha molti elementi in comune con un altro debutto eccellente, ovvero "The Voyage of the Acolyte" di Steve Hackett, concepito due anni prima. Oltre alle atmosfere puramente barocche dipinte dai manici delle chitarre di questi due grandi artisti, sono presenti anche altri punti d'incontro tra le due opere, ad esempio i musicisti. Gli instancabili Rutherford (tra l'altro autore di alcuni pezzi) e Collins si ritrovano ancora una volta ad aiutare un amico in un passo difficile e delicato come quello della produzione di un debutto solista e anche John Hackett pare non volersi perdere l'evento, donando le sue doti fiatistiche al lavoro.

Il disco si apre con "Wind-Tales", un'intro strumentale di un minuto che accompagna l'ascoltatore in un tempo antico, disegnandogli dolcemente intorno il paesaggio magico e fiabesco da cui potrà assistere agli eventi che verranno raccontati, nota dopo nota, durante lo svolgimento delle composizioni. È infatti con una dolcezza inesprimibile a parole che si apre e si sviluppa "Wich Way The Wind Blows" che vede come protagonista Phil Collins in una delle sue interpretazioni vocali piu' struggenti e delicate, accompagnato dalle chitarre di Mike e di Ant, che sfruttano i momenti di silenzio tra le strofe per rincorrersi nei loro intrecci armonici. Dopo questi sei minuti di pura poesia, che trascina sull'orlo (spesso superandolo) della commozione, gli araldi suonano la fanfara alla corte di Enrico VIII e aprono così la suite "Henry: Portrait From Tudor Times", divisa in sei movimenti e caratterizzata dall'uso di oboe, oltre a vari altri fiati, violini e violoncelli. Al termine dell'inneggiante "Fanfare" torna a farci visita la chitarra di Ant, che sorregge e accompagna le lievi note di flauto suonate da Wil Sleath in "Lute's Chorus", ma è solo un altro minuto e poi il tema cambia ancora e Ant e Mike ci accompagnano con le loro chitarre in cima ai torrioni del castello, avvolti da una fitta nebbia mattutina, al di là della quale sembrano esserci nemici in arrivo. Allo spegnersi di "Misty Battlements" si apre, con fare piuttosto deciso per gli standard del disco finora osservati, "Henry Goes to War", alternante momenti calmi ad altri decisamente piu' aggressivi, che sottolineano la preparazione allo scontro imminente. Con "Death of a Knight" le chitarre tornano ad abbracciarsi con la pacatezza e la malinconia che segnano la fine di un guerriero. La melodia si spegne lentamente per poi riaccendersi subito con la fanfara finale, che segna il ritorno a casa dei cavalieri e la vittoria di Enrico. Il tema conclusivo "Triumphant Return" riprende infatti le note del primo ma lo sviluppa in modo più profondo con cori e tastiere. Dopo questo ritratto dei tempi dei Tudor, Phil Collins torna a deliziarci con un'altra incantevole ballata dal titolo "God if I Saw Her Now", questa volta però con l'ausilio della voce angelica di Viv McAuliffe che, insieme alle fughe del flauto prima e delle chitarre dopo, rende questa canzone un vero gioiello.

"Chinese Mushroom Cloud" pare essere un'altra intro, piuttosto cupa, che ha il compito di portarci al cospetto della seconda suite del disco, da cui appunto prende il nome. Provare a descrivere entrambe le parti di "The Geese and the Ghost" non renderebbe affatto giustizia a questo capolavoro strumentale; basti sapere che è un tema in continua evoluzione a cui partecipano tutti i musicisti (con un John Hackett in primo piano) creando un amalgama perfetto che ci fa sognare di oche, menestrelli e fantasmi (tutti presenti nell'incantevole copertina di Peter Cross). Una menzione speciale va comunque fatta per il tema principale della seconda parte della suite, che vede l'utilizzo, seppur minimo, della batteria, la quale è praticamente assente in tutto il disco, vista la natura leggera ed eterea dello stesso. Chiudono tale magnifico operato due pezzi legati fra loro: "Collections" e "Sleepfall-The Geese Fly West", che si differenziano dalle composizioni precedenti per l'uso del pianoforte a scapito della chitarra. La prima è una ballata cantata da Anthony su base di piano con l'accompagnamento di flauto ed archi, che ricordano lontanamente alcune sonorità di "From Genesis to Revelation" (anche se in quel disco l'utilizzo di elementi orchestrali era decisamente più massiccio), mentre la seconda riprende lo stesso tema della composizione precedente, ma lo esplora dal punto di vista strumentale con il piano che lentamente lascia spazio ai fiati di John, i quali hanno il compito di chiudere questo lavoro unico.

Un'opera bella quanto purtroppo sconosciuta ai più, che ci racconta di fanciulle e cavalieri, combattimenti e amori nel più puro stile romantico cavalleresco, intessuta in trame sonore che accarezzano il folk medievale e ci trasportano lontano, in un mondo dove la spontaneità della musica riusciva ancora ad aprire i cuori delle persone... mentre alzavano lo sguardo sulle oche in volo verso Ovest.

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