In sordina.

Questo piccolo uggioso album è uscito senza alcun clamore. 

Del resto, in un anno denso di uscite imponenti e storiche (il ritorno dei GY!BE e dei Dead Can Dance, la nuova ambiziosa creatura partorita dal genio di Michael Gira, l'ennesima mazzata sulle gengive targata Converge...) era inevitabile che un dischetto del genere, così umile, così dimesso, passasse inosservato.

Complice, probabilmente, anche lo scetticismo di alcuni fan di vecchia data della (ormai one man-)band, non troppo entusiasti del nuovo sound imbastito in seguito all'abbandono di Duncan Patterson (anima degli Anathema nell'immortale dittico Eternity-Alternative 4, quello che è probabilmente il picco qualitativo della loro carriera).

Già il precedente "Leaving Eden" vedeva il solo Mick Moss, irlandese dalla voce possente, a curare il songwriting, e con un'attitudine parecchio differente da quella del poliedrico fondatore. Le varie digressioni strumentali, gli umori ambient e quel trip-hop in salsa gotica, che avevano stregato gli ascoltatori sino a "Planetary Confinement" (disco che, però, già lasciava presagire la svolta quasi cantautoriale di ciò che sarebbe rimasto degli Antimatter), erano scomparsi a favore della più classica forma canzone.

Gli Antimatter si uniformavano alla schiera di band alternative rock dalle tinte decadenti per cui: massiccia presenza di chitarre elettriche sorrette da un tappeto di tastiere funzionali a rendere quell'atmosfera cupa e melanconica che è da sempre loro marchio di fabbrica e la voce di Moss assoluta protagonista. I brani più sostenuti si alternavano poi con ballate delicate e toccanti in cui il cantante si accompagnava con la chitarra acustica, anch'essa sempre più presente dall'opera del 2005.

Questo "Fear Of A Unique Identity" si attesta più o meno sulle medesime coordinate stilistiche di "Leaving Eden" e quindi il primo (e forse unico) difetto che mi sentirei di imputargli è quella sensazione di deja-vu, di more of the same che lascia a primo impatto. E che indubbiamente può deludere.

Produzione cristallina, non una sbavatura, non un'imperfezione, ma forse proprio per questo è difficile scrollarsi di dosso quell'impressione non proprio gradevole di trovarsi fra le mani un disco di mestiere.

Ma se avrete tempo e pazienza, e aggiungerei anche se siete almeno moderatamente meteopatici (nell'accezione più larga del termine) come il sottoscritto, troverete qualcosa in più del semplice dischetto di mestiere. Sì, perchè "Fear Of A Unique Identity" è sempre profondamente Antimatter, è sempre garanzia di profonda malinconia in formato musicale.

Insomma il kit ideale per fruire del nuovo parto di Moss è : una giornata tremendamente storta (nel peggiore dei casi costellata da pensieri suicidi), tanta tanta pioggia e più di un bicchiere di un superalcolico a vostra scelta.

E il dischetto farà la muta.

Si potrebbe obiettare dicendo che in realtà è sempre la solita solfa... Ma in certi momenti - QUEI momenti - non c'è niente di meglio che la solita solfa, a maggior ragione se porta l'ancor riconoscibilissimo marchio Antimatter, non snaturato dopo tutti questi anni e dopo innumerevoli cambiamenti. 

Se non vi aspettate l'innovazione, l'evoluzione, col tempo quest'album vi colpirà piacevolmente e vi ritroverete a canticchiarlo quasi contro la vostra volontà.

Vi renderete conto che in fondo Moss, anche se non osa come Patterson (che a mio parere farebbe bene a tornare dagli Antimatter piuttosto che dedicarsi a un progetto discutibile come quello degli "Alternative 4"), fa ancora la sua porca figura nel beccare quella linea di basso groovy che non vi aspettereste e il ritornello efficace e (quasi) mai banale che non ti abbandona più, ma anche nel dare nuova prominenza agli inserti elettronici che ora hanno un piglio decisamente più darkwave rispetto al passato.

Last but not least, i testi semplici ma pur sempre disarmanti si dimostrano ancora una volta adeguatissimi a esprimere il disagio dell'uomo solitario che è costretto contro la sua volontà a portare sulle proprie spalle il peso del mondo e a ingaggiare una lotta titanica con la massa per scongiurare l'appiattimento della propria identità. 

Spiccano: "Paranova", l'opener sostenuta e vigorosa; "Monochrome", in cui assistiamo a un accorato duetto fra la voce di Moss e quella dolcissima dell'ospite Vic Anselmo (presenza femminile che impreziosisce ogni momento dell'album in cui figura); "Firewalking" per la sua atmosfera (leggermente) opprimente e dilatata e per l'uso del vocoder che mozza il fiato e ti riduce l'anima in brandelli. L'episodio meno riuscito, invece, è "Uniformed and Black", brano sempliciotto e anonimo, che ammicca parecchio agli ultimi Katatonia ma senza eguagliarne la qualità.

Per tutti coloro che sono contenti che i fratelli Cavanaugh siano felici e abbiano trovato la loro attuale dimensione nella celebrazione dell'amore ma desiderano ancora un pizzico di quella melanconia old-school che ci ha fatto innamorare degli Anathema... c'è questo "Fear Of A Unique Identity". Perchè al di là di ogni altra influenza, l'alternative rock umbratile di Moss risente in primis dei "cugini" inglesi quando cantavano le ore più buie e le delusioni più amare degli esseri umani.

Per i fan che si lasciano ancora illudere, per i nostalgici che vorrebbero degli Anathema ancora depressi ma che si accontentano degli attuali Antimatter.

Tutti gli altri si astengano perchè rischierebbero di essere sopraffatti dalla noia.

Tre palle e mezzo arrotondate a quattro perchè, cazzarola, se lo si ascolta muniti del suddetto kit è assolutamente notevole.  

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