“Jodi era una ragazzino, Jodi e la sua scimmietta, abbandonato al suo destino nella terra, nella terra maledetta…”

Dopo il successo enorme di vendite del suo apice “Lilly”, tra amare riflessioni sulla droga, stambecchi feriti che scappano in Svizzera per sfuggire all’evasione fiscale e stelle minacciate dal Flagellum Dei, l’allora promettente cantautore romano Antonello Venditti decide di voltare profondamente pagina dal punto di vista musicale e testuale per scrivere il suo album forse meno amato e meno conosciuto della sua intera discografia: “Ullala” (ovvero il canto di “Jodi e la scimmietta”) esce nel 1976, anno di grazia per molti degli autori italiani del periodo, ed è subito divisione tra pubblico e critica.

Gli arrangiamenti, fino ad allora così profondamente e violentemente pianistici, subiscono l’introduzione delle chitarre di Ivan Graziani, delle picchiate di Walter Calloni (nello stesso anno alla corte degli Area nel loro “Maledetti”) e di un approccio molto più forbito e scarno. Si tratta soprattutto di un disco molto “politico”, una raccolta di forti riflessioni su parte degli eventi che avevano caratterizzato i cosiddetti “anni di piombo” fino ad allora, rivisti ovviamente con chiave allegorica. Basta poggiare la puntina sul lato A del vinile per sentire:

“Questa è la storia di Maria Maddalena, perduta e innocente, maledetta per sempre dal padre. Aveva dodici anni e conosceva l'amore, tra le spine e gli stracci dell'uomo che passava accanto.”

Attacco subito molto forte, che si forgia dell’unione di un episodio religioso (quello della Maddalena) con il pesante affronto di un argomento delicato come la prostituzione, argomento considerato tabù all’epoca. Massì, perché il pubblico italiano del tempo non incarnava altro che il perbenismo di un’epoca, di quelli che “Ma dove andremo a finire?” a “Guarda che desolazione!”, affermazioni che ricorrono nello stesso pezzo. Non mancano anche racconti riguardo episodi che smossero molto l’opinione pubblica, e di questo “Canzone per Seveso” ne è la profonda testimonianza, non altro che la descrizione minuziosa di come un’industria svizzera liberò una nube di tossina sulla popolazione, causando gravi ed irreversibili danni. Ciò che però ha sempre distinto Venditti da buona parte degli altri cantautori suoi contemporanei è l’approcciarsi al sentimento amoroso, lontano dalle orride melensaggini della decade seguente, con “Una Stupida e Lurida Storia d’amore” che molti di noi ed ancora altri avrebbero voluto scrivere nella sera e dedicarla alla propria ragazza, oppure il citazionismo ad altri artisti del tempo, con l’ode di “Per Sempre Giovane” che strizza tanto l’occhiolino a quella “Born to Run” di Springsteeniana memoria, tanto da riportarla negli ultimi secondi del brano.

“Ullala” è soprattutto un disco dotato di anima, di coscienza: lo sa bene Jodi e la sua scimmietta, splendida ballata dall’andamento reggae, su cui verte tutto il centro focale dell’album. Il presidente da uccidere in questo caso è il sistema corrotto, il potere che schiaccia i singoli individui e li travia, il Leviatano di Hobbes che incute terrore con il suo aspetto.

Dopo questo ellepì Venditti non sarà più lo stesso e, dopo il curato pop di denuncia sociale de “Sotto il segno dei pesci”, comincerà la sua parabola discendente che ancora oggi non sembra avere fine. Non ci resta che fermarci per un attimo e pensare:

“Jodi ha costruito la speranza, la speranza marcita all'ombra di un cortile. Ai suoi compagni l'avventura, di una vita destinata a vivere".

Cantando la cantilena “Ullala”

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