Anno Demoni 2012: gli Antonius Rex di Antonio Bartoccetti pubblicano un altro album, ma la cosa certo non fa più notizia. Dopo i venticinque anni di silenzio (quelli che dividevano “Praeternatural” all'EP “Magic Ritual”, edito nel 2005), per Magus Antonio è oggi consuetudine uscirsene con una pubblicazione ogni due/tra anni circa, giungendo al traguardo del terzo full-lenght nel giro di poco più di un lustro (non contando il clamoroso ritorno sulle scene sotto il monicker Jacula con quel “Pre Viam” risalente ad appena due anni fa): “Switch on Dark” (2006), “Per Viam” (2009), ed eccolo nuovamente con il recente “Hystero Demonopathy”, pubblicato niente meno che il 12.12.12, data a dir poco simbolica per quella vecchia volpe dell'Occulto che è il musicista marchigiano.

Tornano gli Antonius Rex e lo fanno sotto forma di trio: trio che vede ovviamente al suo centro la figura carismatica di Bartoccetti, affiancato anche questa volta dalla medium Monika Tasnad (già a bordo dai tempi di “Swich on Dark”) e dal figlio Rexanthony, da un po' d'anni a questa parte a fianco del padre, prima come collaboratore negli stessi Antonius Rex, poi come membro ufficiale nell'ultimo Jacula. Da sottolineare l'assenza nella formazione della compagna Doris Norton, che partecipa tuttavia alla scrittura di tre episodi: defezione non da poco, se si pensa a quanto l'apporto della signora Norton abbia da sempre avuto peso nell'economia del suono degli Antonius Rex. Non la fa rimpiangere la mano allenata del figlio, in perfetta simbiosi con il padre, stretti da un indissolubile e viscerale vincolo di sangue.

Cosa aspettarsi da questa nuova uscita? Niente di particolarmente destabilizzante per le orecchie allenate degli affezionati della band: il sound del terzo millennio della creatura di Antonio Bartoccetti è ormai collaudato, quasi scontato oserei dire, settato su un horror-prog tributario delle autorità che negli anni settanta dettavano legge in materia (Goblin, ovviamente, ma anche Keith Emerson, John Carpenter e il Mike Oldfield di “Tubular Bells”), il tutto riverniciato a nuovo con suoni moderni ed un pizzico di elettronica.

Ma se non avevo trovato “Switch on Dark” all'altezza della produzione passata, e se “Per Viam” mi era tutto sommato piaciuto meno di “Switch on Dark”, “Hystero Demonopathy”, ad un primo ascolto, si viene a collocare una spanna ulteriormente sotto al suo predecessore, e persino sotto all'ultimo Jacula, che pur si era basato sul medesimo asse Bartoccetti/Rexanthony”: esso non possiede né la maestosità, la “gioiosa” dispersività di “Switch on Dark”, né la compattezza, la fisicità laccata di “Per Viam”, tralasciando sicuramente qualcosa in sede di arrangiamento, perdendo in spessore/profondità dei suoni, suonando nel suo complesso più subdolo e “sgangherato”. Per questo motivo “Hystero Demonopathy” non sarà amore a prima vista, ma per il medesimo motivo sarà un'opera soggetta a crescere con gli ascolti.

Dominato da un modus operandi più irrazionale nel suo svolgimento, da uno stile forse più libero, selvaggio, meno armonioso, slegato nelle sue parti, privato senz'altro dell'eleganza che avrebbe conferito il tocco esperto della Norton, ma premiato dall'irruenza giovanile del talento sprizzante vitalità di Rexanthony, quindi più schizzato nelle sue conturbanti virate progressive, questo ultimo lavoro degli Antonius Rex conserva in sé un certo fascino (il fascino dell'arcano, il fascino del mistero, della follia, dell'irrazionalità), e finisce per ricordare vagamente un episodio minore della loro discografia come “Anno Demoni”. Ma se questo lavoro del 1979 era legittimo che suonasse disomogeneo, in quanto raccolta di registrazioni di brani risalenti a periodi diversi, l'ultimo parto discografico di Bartoccetti viene invece supportato da un concept ben definito: “Hystero Demonopathy”, come suggerisce il titolo, intende interpretare le patologie in passato tipicamente associate alla sfera della psiche femminile in chiave paranormale, additandole come inquietanti manifestazioni/incursioni del Demonio. E su questo tema si sviluppano le nove “osservazioni” del Bartoccetti targato 2012, culminanti nel ripescaggio dell'orripilante “Possaction”, già traccia conclusiva di “Pre Viam”, in verità qui più calzante che altrove: il commento musicale di un documento audio originale che cattura gli spasmi ferali di Sandra B. durante il rito di esorcismo che avrebbe dovuto liberarla dalla presunta possessione (la donna morirà invece suicida nel 2010).

Potranno stare tranquilli i fan della band: l'ultima opera degli Antonius Rex conserva gli ingredienti più tipici della “poetica” orrorifica del suo artefice: composizioni lunghe e corpose, sospese fra ambient delle tenebre e batoste chitarristiche degne del metallo più incandescente. Si percepiscono meno, forse, quegli umori da “ricerca misterica” di cui odoravano i lavori precedenti, poiché nel suo evolversi tormentato e minato da sussulti indomabili, “Hystero Demonopathy” sembra possedere un taglio morbosamente documentaristico: quello di un documentario crudele le cui pagine infuocate e grondanti sangue manifestano la volontà di trattare il tema dalle sue diverse angolazioni. Paura, fragilità, il gelo dell'anima dannata, il dolore del corpo straziato.

Ai fini del concept verrà comprensibilmente alimentata la componente erotica/eretica, la carica inquisitoria della musica degli Antonius Rex, non di certo novità in casa Bartoccetti: sibili di strega, lancinanti grida di dolore, versi di femmine ansimanti e voluttuose (le voci delle guest Laura Haslam e Svetlana Serduchka) costellano il profilo di minacciosi monumenti sonori eretti nella loro consueta impostazione strumentale, fatta eccezione per due episodi (“Disincantation”, che non a caso richiama i primissimi Jacula, e “The Fatal Letter”) in cui si materializza il raggelante recitato di Antonio Bartoccetti, qui votato ad una rassegnata e lugubre malinconia, autentica poesia dell'Abisso.

Lei, con la bocca impietrita

con il respiro congelato

era già defunta...

Passò i giorni e le notti

con gli occhi ciechi di lacrime

morendo di dolore”

 

Adesso il suo unico ricordo

è simile a favole di nebbia

mentre immobile

guarda i fiori attraverso le radici”

Musica dell'Abisso. Fra pattern ritmici (non sempre impeccabili) e il rilevante apporto del batterista Florian Gorman (oramai un ospite fisso nei lavori recenti di Bartoccetti), si evolve la consueta orchestra sintetica degli Antonius Rex, illuminata dall'estro squisitamente prog/settantiano di Rexanthony (da cardiopalma le fughe tastieristiche che percorrono l'ultra-dinamica “The Devils Nightmare”), qua e là posseduto da un inaspettato demone jazz (la coda di pianoforte di “The Fatal Letter”). Per il resto: cori angelici, canti gregoriani, organo a volontà e palate di gotico a non finire. Gotico anche sdolcinato (le zuccherose movenze, al limite dello stucchevole, di “Suicide Goth”); gotico che si contorna dei lembi oscuri di un industrial “da camera” (“Demonic Hysteria”); gotico soprattutto selvaggio, che non disdegna chitarre ultra-heavy (i secchi riff thrash metal che scuotono “Are Mine”, probabilmente il pezzo più duro mai scritto dal Magister). Gotico infine che sfocia nel sabba più malsano che mente umana (umana?) possa concepire: “Witches” (fra i momenti più alti, fra quelli più irraggiungibili per gli altri), labirinto di suoni terribili e fanstasmatici, è una marcia funebre che si evolve al passo marziale di vetri rotti e di urla tonanti di inquisitori privi di pietà.

La chitarra di Bartoccetti, che come al solito ama scomparire per lasciare ampi spazi ai sintetizzatori, al pianoforte, all'organo da chiesa, agli effetti da film dell'orrore, quando decide di manifestarsi finisce sempre per lasciare il segno, vuoi con il martellare maestoso di ritmiche taglienti, vuoi con il vorticare furioso di assoli fulminanti (vuoi, persino, con la morbidezza blues di fraseggi acustici, come accade per esempio nella seconda porzione di “Disincantation”), marchiando a fuoco tutti i brani, inspirandoli, animandoli, "facendoli impazzire", conferendogli vita, e ne è la prova il primo saggio di classe sopraffina offerto: l'imperdibile assolo piazzato nel finale della title-track, inaspettato colpo da maestro capace di resuscitare in un attimo un brano d'atmosfera che pareva non fungere altro che da introduzione all'opera.

Gli amanti delle atmosfere gotiche troveranno certamente pane per i loro denti; gli altri invece dovranno masticare (forse a fatica) un rock oramai un po' di mestiere, che esige, anzi pretende di essere pacchiano, cafone oltre ogni misura, come sapevano essere i maestri dell'orrore a cui gli Antonius Rex si ispirano, spingendosi in territori dove il Male si confonde con l'eccesso, e dove lo scherzo sembrerebbe nascondersi dietro l'angolo (come le caricaturali risate da satanasso che si sovrappongono alle urla isteriche della povera Sandra B. nel traumatizzante brano di chiusura). Ma se di scherzo si deve trattare, allora si tratta di un brutto scherzo, uno scherzo di cattivo gusto, che invece del buon umore lascerà fastidio ed inquietudine, un inquietante senso di straniamento, quell'impressione che sia si sia conclusa un'esperienza che non ha avuto solo a che fare con la dimensione dell'arte.

Che Dio abbia pietà di noi.

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