Anno Demoni 2009: torna l'inossidabile Antonio Bartoccetti, che con questo nuovo album celebra i suoi quarant'anni ufficiali di carriera (ricordiamo che il mitico "In Cauda Semper Stat Venenum" targato Jacula risale al giurassico 1969, anche se, è bene non dimenticarlo, i primi movimenti del Magister nel sottobosco musicale italiano possono collocarsi addirittura intorno al 1966!).
Senza guardare troppo indietro, tuttavia, per comprendere appieno questo "Per Viam" ci basta prendere come riferimento le opere più recenti, ossia quel "Magic Ritual", con cui gli Antonius Rex si affacciarono al terzo millennio, e il formidabile "Switch on Dark", vero album ufficiale dai tempi del capolavoro "Praeternatural", del 1980!
"Per Viam" si muove all'incirca sulle stesse coordinate del suo immediato predecessore, che aveva aggiornato il peculiare dark-progressive targato Antonius Rex agli standard sonori del nuovo millennio.
Coadiuvato immancabilmente dalla compagna Doris Norton (sempre gigantesca nel destreggiarsi fra organo, tastiere, sintetizzatori, orchestrazioni e sound-scapes) e dal figlio Rexanhtony (ai sintetizzatori), Antonio Bartoccetti si avvale anche questa volta del contributo filosofico della medium rumena Monika Tasnad, ed anche questa volta assolda un batterista in carne ed ossa, Florian Gorman, per conferire maggiore corposità alla sua musica: musica che si stabilizza definitivamente su un pacchian-horror-rock metalleggiante, ricordando in molti frangenti le movenze dei Daemonia di Simonetti, altra gloria del prog orrorifico degli anni settanta.
C'è da dire che, rispetto al monumentale "Switch on Dark", "Per Viam" ci suona più fisico, in un certo senso, solido, pragmatico, "materiale". Se "Switch on Dark" era stato il degno erede di un lavoro metafisico, etereo, mistico come "Praeternatural", "Per Viam" ci risulta un qualcosa di più lineare, diretto, decisamente più rock-oriented, pur tuttavia mantenendo gli ingredienti basilari dell'Antonius Rex sound del terzo millennio: robuste chitarre di matrice sabbathiana, tastiere e sintetizzatori dal retrogusto ambientale, un solido background sinfonico, ed un pizzico di elettronica chiamato a soffiare via la polvere di un rock comunque ancorato agli stilemi delle decadi passate. Nota di merito: fra i solchi delle consuete formidabili progressioni strumentali, di riaffaccia il suggestivo recitato di Bartoccetti, che torna dopo quasi trent'anni di latitanza!
Si parte, in verità, con l'anello più debole della catena, quel singolo apripista che porta il nome di "Micro Demons", pezzo assai banale che, pur dopo innumerevoli ascolti, non riesce a convincere pienamente: architettato su un robusto tappeto elettronico e scandito da possenti scudisciate di chitarra dall'impronta pseudo-industriale, il brano si salva in corner per un sublime intermezzo di organo e gorgheggi gregoriani.
Il resto dell'album dimostra un ulteriore sforzo di allineamento ai dettami della contemporaneità, facendo un uso, misurato ma ben presente, di pattern elettronici, sui quali le chitarre, quadrate e ben levigate, passeggiano come treni a velocità sostenute.
La title-track emerge come il brano più articolato del lotto, forte delle orchestrazioni incalzanti della Norton, lanciate in crescendo spaventevoli dove la chitarra profetica del Magister si accoda con ritmiche corpose ed assoli dal gusto sopraffino.
Sulle stesse coordinate si muovono, più avanti, "Spectra" e "Angels & Demons" (audace rivisitazione di una messa del XI secolo), le quali sembrano sconfinare addirittura nei territori rischiosi del gothic-metal più patinato. Forse faranno storcere il naso ai fan della prima ora, ma è innegabile che i due brani si portano dentro tutta la classe, la perizia tecnica, la cura maniacale del dettaglio che da sempre caratterizza ogni produzione discografica del duo Bartoccetti/Norton.
Passando invece ai pezzi forti dell'album, "Woman of the King" è probabilmente il brano più riuscito dell'opera, non solo per gli oscuri versi in italiano decantati da Bartoccetti, il cui recitato evoca alla mente la mitica "Magister Dixit" di "In Cauda Semper..." (emozioni che non pensavamo si potessero ripetere!). Il brano, in verità, serve su un piatto d'argento delle sostanziali novità, andando a sdraiarsi su un tappeto folk-celticheggiante, soluzione inedita nell'immaginario orrorifico di Antonius Rex. Quel che ne esce è un brano sensuale, raffinato, avvolgente, caratterizzato da una prima sezione in cui a deliziarci sono i delicati fraseggi acustici perfettamente intrecciati alle consuete carezze di organo, e da una seconda parte in cui i temi della prima vengono riletti da chitarre ruggenti, che corrono a braccetto con le trame progressive delle tastiere.
Notevole anche la monumentale "Antonius Rex Prophecy", uno dei brani più intensi e significativi vergati da Bartoccetti nella sua carriera: ispirata ad una profezia scritta nel remoto 1948 da Charles Tiring (l'anziano organista dei tempi di "In Cauda Semper..."), costituisce "il messaggio apocalittico di Antonius Rex al mondo". Nei fatti, si parla di undici minuti prepotentemente visionari in cui il tocco fatato del pianoforte della Norton e la sciabordio delle onde trasportano la minacciosa arringa di Bartoccetti, pregna di fosche e terribili visioni: una spietata osservazione sul destino dell'uomo e del mondo, un excursus lirico profondamente poetico e dai toni biblici che riprende i temi più cari all'artista marchigiano, da sempre in prima fila nella sua crociata contro la decadenza spirituale, il materialismo, la stupidità, l'avidità del fallito uomo moderno.
L'album si chiude quindi nel più splendido dei modi, ma prima di salutarci è bene segnalare un episodio che avevamo volutamente omesso: la riesumazione di un brano storico, quella "UFDEM" originariamente presente in "Tardo Pede in Magiam Versus", qui resuscitata in versione elettrica (suona quasi come un pezzo dei Black Sabbath!) e che va a costituire il frangente più indubbiamente catchy dell'album. Il brano viene per l'occasione rinforzato da rocciosi riff di chitarra e da una solida base ritmica, mentre la traccia vocale sembrerebbe trasposta direttamente dalla versione originale (a meno che la voce e l'interpretazione della Norton non siano cambiate di una virgola in quasi quarant'anni!).
Se ovviamente continuiamo a preferire la versione antica del brano (dal fascino irripetibile), c'è comunque da apprezzare il valore sostanziale ed intrinseco di una composizione che, a detta dello stesso Bartoccetti, "se fosse stata presentata a San Remo, avrebbe vinto dieci anni di fila...ma noi queste cazzate non le facciamo!".
E noi, pienamente d'accordo con Antonio Bartoccetti, lasciamo San Remo a San Remo, e ci ributtiamo immediatamente nell'ascolto di questo grande album, l'ennesimo di un artista che, quanto a longevità, possiamo dire che rasenta l'immortalità!
Lunga vita ad Antonius Rex: altri quaranta di questi anni!
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