Anno Demoni 1980: la ricerca stilistica di Antonio Bartoccetti e consorte non sembra trovare pace. "Praeternatural" segna un'ulteriore evoluzione nel sound degli Antonius Rex: progressivi più nello spirito che nella forma, i due pionieri del rock esoterico approdano ad una nuova dimensione musicale.
Accantonate in parte le soluzioni più canonicamente rock, "Praeternatural" si presenta come un lungo esperimento in cui riescono a convivere atmosfere horror, suggestioni esoteriche, ambient, elettronica, prog e virulente staffilate metal (quest'ultime, però, decisamente lontane dagli standard del genere). Quel che ne esce non è solo l'apice della ricerca artistica e filosofica di Bartocetti, ma un vero e proprio incubo messo in musica che non trova eguali, a mio parere, nella storia del rock (se di rock è ancora lecito parlare).
Quasi interamente strumentale, anche questo capitolo della saga si compone di sei episodi compositi, valorizzati questa volta da una produzione che li allontana definitivamente dalla dimensione settantiana: i suoni sintetici e l'utilizzo dell'elettronica lanciano negli ottanta la musica degli Antonius Rex. Musica che non appare affatto risentire dagli anni che passano, ma anzi continua, anche in questo decennio dalle sonorità patinate (che ha visto la crisi di molte illustri formazioni prog), a suonare ruvida ed oscura, mantenendo intatto il fascino mistico che da sempre la contraddistingue.
Fuori dal tempo già nei sessanta e nei settanta, il viaggio autistico di Magus Antonio continua al di fuori del tempo, a dimostrazione dell'intramontabile talento di questo piccolo-grande artista. Talento che evidentemente non è il fuoco fatuo di una stagione fortunata né il figlio opportunista di una scena in pieno fermento (quella prog dell'Italia degli anni settanta). Nell'estenuante suite d'apertura "Halloween" la voce deformata di Bartoccetti ci dà un benvenuto che più pacchiano non si può: un mostruoso "Welcome to Halloween Night", scandito a chiare lettere con voce da satanasso. Una soluzione, questa, che francamente può far storcere il naso a chi, me compreso, ha apprezzato la scelta di redigere, in passato, i testi in latino ed italiano.
La chitarra, come al solito, si fa pregare: prima dovremo sorbirci folate di vento, desolanti frasi di pianoforte e le possenti orchestrazioni ammaestrate dalla sempre ottima Doris Norton (che rincara la dose con un "The land of magic", sussurrato con vociaccia da strega!): rispetto al passato, è indubbio un maggior gusto per le trovate kitsch da filmaccio horror di serie Z. Ma è solo una scorsa esteriore, questa, una scorsa che se da un lato sminuisce il fascino mistico del tutto, dall'altro va ad aumentare la componente trash dell'opera, innalzandola allo stato di cult, alla stregua di un film di Fulci o di Bava.
La chitarra si avventa finalmente sulle nostre orecchie: sono gli inconfondibili fraseggi del Magister, frenetici riff ripetuti all'ossessione, incalzati dal solo ticchettare della cassa, lasciati nel vuoto, quindi, contornati da un involucro di gelide tastiere. I pregevoli assoli sottolineano l'ulteriore crescita tecnica del chitarrista, che come sempre si divide fra saggi di maestoso doom, pause atmosferiche e ritmiche senza direzione che non sembrano portare a niente: il rock degli Antonius Rex viene in "Praeternatural" decostruito e poi riassemblato secondo i misteriosi dettami di una formula magica a noi sconociuta.
La breve "Falsum et Violentia" si rifà palesemente al tema della celebre colonna sonora di "Halloween"; il testo ("Correva l'anno duemilaquattrocentodiciotto, falsità e violenza erano ancora le prime regole degli umani, e gli umani continuavano a dimenticare e a desiderare solo ciò che non avevano") va a rimarcare l'attitudine misantropica del Nostro che dal suo castello (il leggendario Antonius Castle) osserva con distaccato cinismo (e mal celata spocchia) le sorti di un'umanità in perenne declino.
L'imponente title-track è invece l'apice concettuale dell'opera (e forse dell'intero percorso filosofico di Bartoccetti): aperta da un arpeggio claudicante e da minacciose orchestrazioni (è la Norton, in questo album, a farla da padrona), il pezzo si snoda zoppicando fra esplosioni chitarristiche e repentine stasi catatoniche. Le enigmatiche liriche, dense di simbologie ed inafferrabili sentenze, ci attraggono e ci ipnotizzano, ma nel finale, in un inedito slancio comunicativo, il pezzo si tramuta in un prog orrorifico di tutto rispetto, dove sono rintracciabili similitudini con i colleghi Goblin. Eccezionali gli assoli di chitarra, astratte costruzioni volte al morboso, sorrette da una possente drum-machine che finalmente detta il ritmo giusto, rendendo fluente l'ascolto come mai era accaduto in passato. Dopo un breve intermezzo atmosferico ("Montsegur Legend"), la drum-machine torna a scandire la possente "Capturing Universe", altro brano cardine dell'album ("Infinitesimi di secondo disegnano fatalmente l'esistenza dei comuni mortali" recita il breve ma eloquente testo). Tornano a graffiare le chitarre che senza particolari virtuosismi fanno il paio con maestose tastiere e cori gregoriani, andando a tratteggiare una song aerea, spaziale, degna rappresentante dell'arte del musicista marchigiano, che come sempre predilige la sostanza del messaggio a sterili esercizi di stile (per la cronaca, il brano godrà in futuro di un discreto successo grazie al remix ad opera del figlio della coppia, meglio noto negli ambienti techno con lo pseudonimo Rexanthony, che ribattezzerà il pezzo "Capturing Matrix").
A chiudere le danze troviamo la terrificante "Invisible Force", pezzo teso ed atmosferico in cui riemerge il lato più misterioso ed esoterico della musica degli Antonius Rex. Com'era successo nella controversa "Devil's Letter" in "Neque Semper Arcum...", a parlare sono i fraseggi ambientali e le fratture di un mondo in decomposizione mistica. L'elettronica dà una mano e, fra rumori inquietanti, aperture di organo e frasi recitate al contrario, la tensione è veramente palpabile. Come se da un momento all'altro dovesse succedere qualcosa di significativo; come se da un momento all'altro dovesse aprirsi una porta che dà su altri mondi. "Otto le porte da aprire...".
"Praeternatural", opera da ascoltare e riscoprire continuamente nella sua complessità concettuale e nella sua densa stratificazione di significati e dettagli sonici, è l'ennesima conferma dell'integrità e dell'intransigenza di Antonio Bartoccetti, artista fuori dagli schemi, estraneo ad ogni logica commerciale e decisamente lontano da ogni paragone con qualsiasi altro musicista in ambito metal, prog o rituale. Non solo consigliato agli amanti delle atmosfere horror, ma a tutti coloro che, da veri intenditori, sanno andare oltre il velo delle apparenze ed apprezzare il talento segreto che si cela dietro all'insopprimibile tamarraggine del rock più irriverente e corraggioso. Yeah!
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