E poi l'angelo pianse.

E tutti noi con lui.

Chi non gridò per quel miracolo che fu "I'm A Bird Now"? Cima di tutto un retaggio pop distrutto dietro il vocione di un uomo grosso e complesso, ma dall'animo fragile e sensibile che ti infrangeva come una bottiglia di vetro spiaccicata contro il muro, quel disco era la pura essenza della magia sensoriale chiamata "emozione". Lo stesso Antony, carismatico e innegabilmente talentuoso, aveva chiarito sin da subito la propria esasperazione per le emozioni: "Le emozioni sono il nuovo punk". E non piangere davanti a due fiori, due rose purpuree di canzoni come "Hope There's Someone" e "For Today I'm A Boy" è roba da bifolchi insensibili. E sebbene avesse già inciso con i suoi Johnsons un bellissimo debutto passato prima inosservato, e poi recuperato come manna dal cielo, è "I'm A Bird Now" il suo assoluto sigillio, la sua poetica. Le nenie al pianoforte funzionali e perfette toccano subito il cuore e poi lo distruggono sotto grida, sussurri, giravolte di voci. E poi "The Crying Light", venti spanne sotto il precedente, eppure ancora sorprendente: ancora nenie, ancora sussulti, ancora lacrime. 

E non passa neanche un anno che Antony sguscia fuori con lo sguardo da cucciolo smarrito e con le sue dita sui tasti bianchi. Torna con "Swanlights", un disco che, purtroppo, si rivela una glaciale delusione. Delusione perchè mentre Antony sembrava evolversi, pur percorrendo la stessa identica strada (e parlo di un pezzo spaccaossa come "Shake That Devil", che sembrava portare ritmo e furore in un toccante pop noir), e invece no. Antony è diventata una star, sconquassato praticamente su ogni rivista di musica, anche quelle più commerciali, cantando con qualunque cantante femminile gli passi sottomano e un disco registrato così in fretta dal precedente, che nessuno se n'è accorto. 

E mentre prima la ripetizione sembrava anche il suo asso nella manica, diventa piattume. Perchè qua manca addirittura quello che gli riusciva meglio, ovvero scatenare forti emozioni interiori. Le canzoni sembrano b-sides dei due precedenti: stesso stile, ma per nulla incisive, spesso senza nemmeno la melodia adatta ("Thank You For Your Love", così dannatamente jazzy e politicamente corretta, che già ce la vedo in qualche filmetto americano per famiglie), a volte mettendo qualche brivido, ma perdendosi poi in code lunghe e identiche, che smorzano sbadigli che fanno crollare le pareti (i quasi otto minuti di "Christina's Farm").

Non fraintendetemi. Sono un grande fan di Antony, come dimostrano le mie altre due recensioni sul sue conto, ma davanti alla vuotezza di questi pezzi, il cui vuoto viene calmato dalla solita voce angelica e dalla sapienza del pianoforte, mi viene il magone. Tutta tecnica perfettamente confezionata.

Ci sono le eccezioni, e sono due, splendide per giunta: in primis il capolavoro,"Flétta", duetto con la sempre magnifica Bjork, con quelle melodie semplicissime spezzate, la voce lontana di lui, le balene che si infrangono con l'acqua. Sembra di stare a mollo nell'oceano e fa viaggiare. Stesse, magnifiche, emozioni nell'apertura "Everything Is New", che in quattro minuti sintetizza l'intero album attraverso gli stacchi improvvisi, il titolo ripetuto e la tensione che sale. Poi ci sarà l'anticlimax, ma non importa. Si sta bene così. Con un bel crepuscolo dietro e l'alba davanti. 

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