A volte ci si potrebbe chiedere qual è il senso di certe cose. Qual è il senso di continuare ad usare un nome storico quando ormai quasi la metà dei membri storici del gruppo è passata a miglior vita, qual è lo scopo nel tornare dopo trent'anni (reunion escluse) e presentare versioni così stravolte dei propri classici.

Eppure il senso, nell'accezione di soddisfazione ultima, c'è. Perchè francamente io mai mi sarei sognato nel 2011 di andare a vedere un concerto degli Area, di ritrovarmi di fronte ad una proposta che definire ostica sarebbe riduttivo e tornarmene pure a casa contento. Reunion nata davvero per caso e che voleva essere cosa effimera (una serata evento in memoria di Stratos), quella che nelle intenzioni sarebbe dovuta essere una trovata puramente estemporanea è invece diventata un lungo tour, articolato, con una scaletta coraggiosa, che ha portato i tre (più uno) in giro un po' dappertutto. Aspetta però, si fa presto a dire "Area". Area chi? Per i più disattenti: si scrive Area e si legge Fariselli, Tavolazzi e Tofani. Ovvero ciò che, ahinoi, resta del gruppo storico, di quella banda armata (per fortuna solo di strumenti musicali) che durante i primi anni Settanta se ne uscì con capolavori con "Crac!", "Caution Radiation Area" e "Arbeit macht frei". Davvero, sulle prime la cosa potrebbe lasciare abbastanza interdetti, ormai non c'è nemmeno più il povero Giulio Capiozzo, che se ne è andato nel 2000 per un tumore, ma posso assicurare che i nostri sono davvero riusciti nell'impresa. Impresa di tornare a suonare brani immortali senza che ci sia la puzza di naftalina, senza avere eternamente il fantasma di Stratos sul palco, senza scadere nel ridicolo.

Demetrio era ed è insostituibile, quindi? Detto fatto, non lo si sostituisce: brani strumentali, con buona pace dei testi di Gianni "Frankestein" Sassi. Ma come?! E "il mio mitra è il contrabbasso che ti spara sulla faccia"? Quello, se vuole, lo si lascia cantare al pubblico che, piacevole sorpresa, è fatto di ventenni come di cinquantenni. Ed il fatto che gli stessi membri degli Area potrebbero essere padri di molti di quelli che oggi comprano i loro dischi e vanno ai loro concerti dovrebbe essere un'ennesima dimostrazione della grandezza di un gruppo spesso non capito, forse per mancanza di tempo e di "testa".

L'occasione è ghiotta. La Festa de l'Unità, ops Festa Democratica, di Milano presenta una bella serata dedicata alla Cramps, mitica etichetta alternativa, ma alternativa davvero, dei tempi che furono, con Claudio Rocchi, Eugenio Finardi e gli Area come headliner. Tra nostalgia per una stagione, ed una giovinezza, ormai andati da un pezzo, il tutto riesce piuttosto bene, anche grazie a brani riarrangiati in modo da non apparire troppo datati. Finita la bella esibizione di Finardi, accompagnato da un ottimo gruppo di sei elementi, i quattro, con una bella fretta perché il tempo già stringe, sono sul palco. Il nome ufficiale del gruppo, a voler essere pignoli, per l'occasione non è il solito chilometrico Area International Popular Group, ma Area Reunion, a voler sottolineare la volontà di andare avanti proponendo anche musica nuova, figlia dell'esperienze soliste dei tre durante questi anni. E proprio con la nuova incarnazione del gruppo si apre il concerto. Paolo Tofani, vestito di tutto punto da monaco Hare Khrisna qual è, seduto su una pedana al centro del palco, si diletta con uno strumento da lui stesso pensato, a metà strada tra chitarra elettrica e sitar, per un'intro che francamente può risultare ostica ma ha sicuramente il suo fascino. Affiancato poi dall'ottimo Ares Tavolazzi e dal fido Walter Paoli alla batteria il concerto inizia ad entrare nel vivo. Una volta che anche Patrizio Fariselli siede dietro i tasti d'avorio lo spettacolo può finalmente cominciare.

"Arbeit macht frei" irrompe sul palco con tutta la sua carica: avendo perso per strada le tonnellate di sintetizzatori che li accompagnavano durante i giorni che furono (anche se qua e là qualcosa c'è ancora) i brani si presentano in quella che in fin dei conti è la loro struttura base, ovvero un jazz avanguardistico fatto di mille improvvisazioni e di una tecnica che definire fuori dal comune sarebbe riduttivo. Ok, ai tempi la scena progressive italiana era fatta di gruppi spesso poco più che amatoriali, arrivati quasi per caso allo studio di registrazione e che spesso tecnicamente non erano dei mostri, quindi in questo contesto si vince facile, ma la bravura, lo stile, la personalità non sono cose che si comprano al mercato, sono innate. Ed il modo in cui i quattro si destreggiano tra cambi di tempo e passsaggi a dir poco intricati non può che far restare a bocca aperta. Ed in parte fa anche dimenticare che un tempo li c'era un pazzo che giocava con diplofonie e trifonie come pochi, forse unico. Forse proprio la mancanza di un cantante di ruolo (durante il tour ci sono state ospitate varie, da Mauro Pagani a Maria Pia De Vito fino allo stesso Tofani) deve aver spinto a riproporre quei pezzi che anche senza voce possono risultare validi, mettendo in luce aspetti e passaggi che forse sugli LP restavano in secondo piano. Certo, un'ora e mezza di concerto strumentale potrebbe risultare poco invitante, ma è in casi come questi che si vede anche la capacità di intrattenere, di comunicare e di non perdersi in evoluzioni tecniche fini a loro stesse, cosa che ammazzerebbe un progetto del genere sul nascere. Dai tempi della reunion Patrizio Fariselli è diventato un po' il portavoce del gruppo, è lui che introduce i pezzi e che finora ha rilasciato il grosso delle interviste. Dopo "Nervi scoperti" è il turno di "Gerontocrazia", accolta con stupore. L'introduzione che all'epoca caratterizzava il brano non viene riproposta, sostituita per l'occasione da, udite udite, una ninna nanna del II secolo. La voglia di stupire in modo colto, a quanto pare, non li ha abbandonati. Ed in quanto a colpi scena non si può non citare "Sedimentazioni", autentica scheggia impazzita. "In questo brano suoniamo tutti i pezzi degli Area, dal primo all'ultimo". Prego? Che però i brani siano sovrapposti, "sedimentati" appunto, e che la velocità sia aumentata all'inverosimile, Fariselli mica ce l'aveva detto. Bella trovata, che lascia un po' il tempo che trova ma che dal vivo fa il suo effetto. C'è anche il tempo per un breve accenno de "L'elefante bianco", ma i minuti scorrono davvero veloci e ormai siamo agli sgoccioli. "Luglio, agosto, settembre (nero)" è dedicata, oggi come ieri, al popolo palestinese e risentirla, anche se a distanza di quarant'anni dall'originale mutilata delle parole, fa ancora il suo effetto. Eugenio Finardi si rende protagonista dell'unico brano cantato, finalmente, della serata, "Gioia e Rivoluzione". C'è qualche incertezza sul testo, ma siamo davvero a cercare il pelo nell'uovo: l'atmosfera è quella di un gruppo di amici che assieme ne hanno vissute di ogni e che si ritrovano dopo tanto tempo ad una bella festa. Buonanotte a tutti e alla prossima. E l'Internazionale? "La Festa del PD non gradirebbe la multa che dovrebbe pagare se continuassimo a suonare. Fate conto che l'abbiamo fatta". Vabbè, per stavolta non si può davvero chiedere di più.

Bella serata, bel concerto e la soddisfazione nel vedere come un gruppo leggendario, malgrado tutti i lutti e le sfortune di questo mondo, riesca ad andare avanti senza diventare una caricatura di sè stesso, anzi facendo di tutto per non offendere il mito. Ed il nuovo album? Per quello si vedrà. E nel frattempo c'è qualcuno che uscendo dal Palasharp l'Internazionale se la fischietta per i fatti suoi. Serate come queste fanno bene all'anima.  

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