Alla vigilia di uno degli ultimi Sanremi, già sepolto dall'oblio eterno, l'ex reginetta italiana della dance per cerebrolesi, tale Alexia, annunciava clamorosamente la sua svolta blues...(!) Naturalmente era una bufala: venne fuori la solita canzoncina sanremese, per l'occasione condita con qualche urletto sgallettato e scomposto, che sarebbe stata la componente blues. Più recentemente leggevo un'intervista al buon Adelmo Fornaciari detto Zucchero, il quale piangeva la perdita di una città che sentiva sua, distrutta da un uragano. "Caspita", mi sono detto, "va bene che c'è l'Appennino in mezzo, ma possibile che un uragano abbia distrutto Reggio Emilia e dalle mie parti non ce ne siamo neanche accorti ?". Poi leggendo meglio scoprivo che la città in questione era New Orleans, perché anche Zucchero, c'è poco da fare, si sente un cantante di blues. In attesa che anche Gigi D'Alessio ci riveli che in fondo in fondo ha sempre avuto un puro spirito blues, facciamo un po' di chiarezza, come al solito tornando parecchio indietro nel tempo, quando i ruoli erano ben definiti e alle Alexie di allora non passava neanche per la capa di cianciare di blues (immaginate una Rita Pavone o una Caterina Caselli sedicenti cantanti blues...). Per sottolineare l'abisso tra questi millantatori e la vera musica afroamericana non importa scomodare un B.B King o un John Lee Hooker, ma basta tornare agli anni '60, ad una grande cantante soul, quindi priva del pedigree blues, ma con antenne perfettamente in grado di percepire la sofferta intensità di questa musica, anche grazie ai confini, in fondo abbastanza labili, che separano ma non troppo i vari generi di musica afroamericana.

La figlia del reverendo Franklin si fece i muscoli in una palestra vocale di tutto rispetto, quella del gospel, e quando si buttò nel canto più profano aveva doti vocali così straordinarie che perfino uno dei peggiori disinformatori musicali di tutti i tempi, Paolo Limiti, non potè fare a meno di riconoscerlo, anche se poi nello stesso programma preferiva appiopparci la figlia presunta di Claudio Villa, raccomandata ma completamente negata per il canto. Aretha aveva una voce penetrante, acuta, forte come l'aceto, eppure mai prepotente nei confronti delle orchestre o dei gruppi strumentali con cui si confrontava. In questa raccolta "Aretha Sings The Blues" si dimostra capace di adattarsi con la stessa disinvoltura ad una classica orchestra d'archi o ad una formazione più ridotta, più vicina al jazz.

Certi brani sembrano messi lì a dimostrare la miracolosa duttilità di questa voce decisa e potente: in "Drinking Again" prima duetta con un'aspra e pungente cornetta, poi con un languido e burroso sax baritono, in "Today I Sing The Blues" attinge dalla spiritualità del gospel per dialogare con il suggestivo tremolio di un organo Hammond, nella più spedita "Nobody Knows The Way I Feel This Morning" disegna perfetti vocalizzi sul puntuale ritmo scandito da una secca batteria e dal medesimo organo, in "Evil Gal Blues" se la vede con gli acuti di una chitarra elettrica e di un'armonica, imponendosi pur senza strafare.
Un capitolo a sé è rappresentato da un'impeccabile sequenza, purtroppo di soli 3 brani, registrata dal vivo in un night club. Qui la voce sembra spiccare il volo con libertà ancora più assoluta che nei brani da studio, forse anche grazie al discreto accompagnamento di un quartetto. "Without The One You Love", che è tra l'altro opera della stessa Aretha, è forse il capolavoro dell'intera raccolta: una sublime ballad in cui il bruciante lamento blues è punteggiato da preziose e rarefatte note di pianoforte, ma anche le più swingate "Trouble In Mind" e "Muddy Water", che completano la triade, sono di altissimo livello. Tra i blues orchestrali si notano la dolcissima "Only The Lonely", dove la potenza della voce di Aretha si scioglie in una languida carezza, "Take A Look", quasi altrettanto tenera ma ravvivata da acuti infuocati, e l'amara "This Bitter Earth", forse la più formalmente blues tra queste splendide 14 canzoni. Si fa prima a dire che ognuna di esse dà quell'inconfondibile brivido proprio della grande musica, quella che non passa mai di moda. Quella che ci porta appunto agli antipodi rispetto a certi venditori di fumo.

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