Rieccoli.

A dieci anni dallo scioglimento tornano con un disco che cancella il tempo trascorso con un multicolore colpo di spugna.
Erano parte dell’anima creativa, militante con fantasia (ricordate i De La Soul?), di un fenomeno che ha assunto altri volti, altre identità, altre pose. Ed oggi raramente riesce a suscitarmi qualche curiosità.
Ma allora, se ti mettevi all’ascolto della nuova musica nera, di quel calderone nel quale le radici del blues, del soul e del funk ribollivano insieme ai frutti del rap e delle nuove sonorità black affiorati negli anni ’80, dall’ instabile mistura che gorgogliava il sound di questa formazione emanava come una fragranza speziata, distinguendosi in virtù di una freschezza e di una ricchezza di idee immediatamente riconoscibili.
Mi erano simpatici, gli Arrested Development.
“3 Years, 5 Months & 2 Days In The Life Of...”, il loro formidabile esordio, ma anche il dignitosissimo “Zingalamaduni”, del ’94, suonano benissimo ancora oggi e periodicamente sono tornati per qualche giro nel mio lettore.
Avevo subito adorato la semplicissima magia di brani come “Mr. Wendal”, forse il loro hit più noto, “Tennessee”, “People Everyday”. Apprezzavo l’attitudine positiva e radiosa che animava anche i molti brani attraversati dalle tematiche politiche e sociali, soprattutto legate alle dinamiche interne alla comunità nera.

L’altra faccia dell’hip hop, illuminata da un sole che le anguste prospettive, tempestate di diamanti, epica del ghetto ed ostentazione del gangsta rap non hanno mai visto.
E quel sole scalda ancora, irradiando anche le 14 tracce di “Since the Last Time”.
Un calore di colori, una luce di tepore, vibrazioni ed energia.
C’è la consueta poliedrica profusione di idee, il ricco reticolo di intrecci tra le radici e il presente, ordito nella raffinata cura degli arrangiamenti.
C’è la gustosa e copiosa messe di sonorità, timbri e moods cangianti.
Nessuna rivoluzione, nessuna svolta imprevedibile, ma la riconferma di un’attitudine e di uno stile. Il che può generare delusione per alcuni, ma anche il piacere di una scoperta per tutti coloro che non li conoscono.

E allora ascoltiamolo…
Il gusto retrò, gestito con classe, che veste la titletrack posta in apertura, sembra indicare una delle coordinate di questa nuova veste del combo.
Ma L’ironia su certo Rap, in “Miracles” (dove Speech promette di scrivere in futuro una canzone nella quale anche loro faranno gli sbruffoni, vantandosi) conferma lo spirito pungente ed ironico, affatto diplomatico, che li muove.
“Heaven” è lenta, funkosa e sexy, “classica”.
E subito dopo ecco il sapore “etnico” abbinato al raffinato trattamento funk&soul di “Sao Paolo”: attraversata dall’efficace alternarsi ed intrecciarsi tra la voce di Speech e quelle femminili, è la traccia più atipica del disco.
Che fluisce gradevole anche negli episodi meno memorabili, comunque sopra la media di un mare di produzioni che invadono l’etere. Suoni sempre azzeccatissimi, grande attenzione al dettaglio e tutto suona molto “naturale”.
“Stand” non è certo un capolavoro, ma anche solo il piccolo tema che scorre dietro le voci basta per salvarla dall’anonimato.
E “It’s Time” riporta ai tempi dell’esordio, a quell’atmosfera indefinita, con quella melodia un po’ “stonata”, come sognata in giornate inondate di sole.
All’anima più creativa e bizzarra rimanda invece “Inner City” con stacchi e campionamenti efficacissimi, mentre è incalzante e contagioso il ritmo che spinge l’esplicita confessione di “I Know I’m Bad”, seguita da una altra tipica song all’Arrested: scherzi di suoni, cori che accennano ad una filastrocca, in “I Got The Feeling”.
E se nel twist di “Down and Dirty” vi sembrerà di ascoltare evidenti tracce di Outkast, beh, non siete in errore, se non di inversione dei termini (‘che sono gli Outkast a dover qualcosa a loro, e non viceversa): ma qui il trattamento è leggero laddove i nipotini avrebbero certo approfittato dell’idea pompandola allo stremo.
“Nobody Believes Me” chiude il disco con l’incedere ancora incalzante del rap, ritmato sulle percussioni, sul quale si insinua la melodia felina tracciata dalla voce femminile, confezionando un’altra ottima song. (Possibile nessuno le creda? Io le crederei anche se sapessi per certo che mente…)
Oh yeah.

A dispetto del loro enigmatico nome questo ritorno sembra confermare che lo sviluppo dell’ottimo collettivo di musicisti della Georgia non si è affatto arrestato.
E se durante l’autunno avrete voglia di una dose di calore, di un supplemento di luminosa energia, provate ad affidarvi agli Arrested Development.
Chissà che non vi sorprendiate anche voi ad accennare una danza sulle note di “Since The Last Time”.

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