"Avvolto dal manto penetrante della sera, la notte di "Tnoona", le cui note suonano ancestrali, pensi ai misteri del divenire, a ciò che era, a ciò che è... a ciò che sarà. Questa bianchissima Luna ti carezza, coricato come sei lungo le sponde del possente fiume, intento a spogliare un acerbo fusticino di grano. Il tuo contemplare si fa forte quando l'odore di quel fusticino si mescola alla imperitura freschezza dell'aria portando via con sé lo stupore. Allora per caso il tuo intero essere si sposta verso qualcosa di astratto, forse magico e lontano nel tempo...."
È strano in effetti, che molte delle storie che più affascinano, inizino con dei déjà-vu incalzanti.
Prendete questa ad esempio.
Chi conosce o anche solo si ricorda di un complesso musicale chiamato Art Ensemble Of Chicago? Non molti forse. Eppure fa una certa impressione sapere che questa congrega di musicisti, in prevalenza cultori di una forma di cosmic-free jazz allucinato, ha la bellezza di quasi quarant'anni di prestigiosa carriera alle spalle, che conta all'attivo diversi album tra live e studio, che ha collezionato partecipazioni ai festival più bizzarri affiancando nomi del calibro di Pink Floyd, Soft Machine, Caravan, Frank Zappa, Captain Beefheart, Fairport Convention, tanto per citarne qualcuno, lasciando un'impronta indelebile nel panorama artistico internazionale.
Il contesto che ci riguarda più da vicino in questo caso è quello di fine anni '60, quello dei grandi fermenti sociali e culturali, della fitta rete di scambi tra l'America e l'Europa, quello delle importanti innovazioni che impasteranno il jazz con altre correnti espressive, diramando in ulteriori affluenti il bacino di utenza della musica. Una rivoluzione a cui partecipò attivamente anche l'esplosiva ensemble proveniente da Chicago.
Seguendo l'insegnamento dei loro padri spirituali (come non citare ad esempio John Coltrane e Sun Ra), gli A.E.O.C. hanno infatti trasceso le vie tracciate dalla musica afrobeat, conferendogli, se possibile, proprietà di derivazione ancora più esterofila. Hanno anticipato un certo modo di vedere ed interpretare i canoni del free jazz, donandogli un tocco di folklore senza pari, e questo grazie soprattutto all'incredibile impatto dei loro live acts, esibizioni all'insegna di performance iconoclastiche e pirotecniche tensioni sceniche. È così che i ritmi funk e le classiche armonizzazioni jazz vengono travolti dall'ondata out-tempo di fiati ed effetti percussivi. È così che placidi punti di ritrovo per appassionati si tramutano in catartici riti tribali.
"Fanfare For The Warriors" (1974), terzo album dopo "People In Sorrow" e "Less Stances A Sophie" firmato a loro nome, è un piccolo scrigno contenente stesure contrappuntistiche, che non spersonalizzano un tale abbacinante credo, basate sull'equilibrio dinamico tra improvvisazione ed improbabili collage di suoni e colori. Le partiture sono incredibilmente stravaganti, ed eseguite in modo tale da porre in rilievo la libera interpretazione dei singoli strumentisti. Rare eccezioni a questo discorso sono ad esempio "The Key", e (anche se non del tutto) "Barnyard scuffel shuffel"; la prima con una cadenza (rimarcata dal cantato) tutt'altro che sobria, mentre la seconda ha un cuore di sanguigno rhythm'n'blues che smorza le fibrillazioni shock, dominanti nelle tre composizioni "Illistrum", "Nonaah", e "Fanfare For The Warriors". Deliziose testimonianze di una fluida ecletticità si evincono da "Tnoona", non languida di quel pathos forte di rimembranze psichedeliche, e "What's To Say", risvolto arlecchinesco di una strampalata samba, edificata su variazioni, in fughe parallele, degli strumenti.
"Fanfare For The Warriors" riesce ad offrire, a modo suo, un concreto spaccato fatto di sogni ed evoluzioni stilistiche, di scoperte fatte maturare e bissate senza trascurare un elemento chiave nella crescita individuale: il proprio passato, le proprie radici. I crediti sul retro della copertina del disco confermano la partecipazione completa della formazione storica, composta da Lester Bowie (Trumpet & Fluegelhorn), Roscoe Mitchell (Alto sax, Tenor sax & Piccolo), Joseph Jarman (Alto sax, Tenor sax, & Flute), Malachi Favors (Bass), Don Moye (percussion), e da una special guest al piano Muhal Richard Abrams. La produzione è di Michael Cuscuna.
Che dire, in definitiva, quando ci si trova faccia a faccia con la storia?
Sono sensazioni importanti.
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