"Gold Shadow" di Asaf Avidan è ufficialmente il mio disco dell'anno 2015: un riconoscimento di grandissimo prestigio dato che quest'annata, tra nomi storici ed emergenti, mi ha regalato un sacco di bellissime sorprese, in un'ampia gamma di generi, stili, storie, prospettive, ma se proprio devo decretare un vincitore a cui assegnare questo simbolico premio (molto più credibile e autentico di un Grammy Award, perchè no?) allora la mia scelta non può che cadere, un po' a sorpresa, su questo artista israeliano, che fino a poco tempo fa per me era per me un perfetto sconosciuto. E questo mi ha portato inevitabilmente a pormi delle semplici domande: chi è Asaf Avidan, qual è il suo percorso, come è arrivato ad un capolavoro come "Gold Shadow"? L'unico modo per trovare delle risposte è, ovviamente, un'ampia panoramica dei suoi album precedenti, che, semplificando all'estremo, mi ha sostanzialmente detto che "Gold Shadow" è un deciso salto di qualità ottenuto principalmente ridimensionando le chitarre in favore di sonorità e arrangiamenti più vari e raffinati, ma anche il coronamento di un percorso graduale e di un talento assolutamente superiore alla media. Nato come chitarrista di impostazione blues rock/folk rock, Asaf si fa conoscere (specialmente in Francia oltre che nella madrepatria) come mastermind di una band interamente incentrata su di lui, Asaf Avidan & The Mojos, tre album tra il 2008 e il 2010, poi il passaggio alla carriera solista. "Different Pulses" è l'inizio di questo nuovo percorso, ma si tratta di un episodio di transizione più che di partenza: il sound è "denso", relativamente compatto e talvolta nervoso, come nei lavori precedenti, ma qui Asaf Avidan comincia ad essere qualcosa di più di un "normale" rocker fuori dal mainstream.

Non so quanto sia "giusto" giudicare un album in base a ciò che verrà dopo, ma la mia storia con Asaf Avidan è cominciata così, con un immediato colpo di fulmine per "Gold Shadow", quindi nel bene e nel male il mio approccio non può che risentirne; comunque "Different Pulses"condivide con il successore un songwriting di altissimo livello: riflessivo, affascinante e visionario ma semplice da comprendere e interiorizzare, musicalmente è relativamente meno vario, strutturato in maniera completamente diversa. In GS ogni canzone rappresenta un capitolo a sè stante, questo invece ha una tracklist perfettamente divisibile in due tronconi distinti, in un ipotetico lato A e lato B, ognuno con caratteristiche proprie. Dunque, si comincia con un filotto dalle forti venature soul, specialmente nel cantato; canzoni come "Setting Scalpels Free" e "Love It Or Leave It", sinuose, molto orecchiabili ma con un'anima piacevolmente complessa, come anche l'iniziale titletrack, ricca di pathos e contrastanti intrecci emotivi, mettono in assoluto risalto la voce, una delle caratteristiche più notevoli di questo splendido artista. Una voce non facile da gestire, come tutte le cose di una certa potenza dopotutto, ma Asaf usa il suo timbro acuto e agrodolce con assoluta maestria, impressionando soprattutto per l'intensità con cui riesce ad enfatizzare i chorus, senza mai scadere nell'autocompiacimento e nell'esagerazione: efficace, carismatico, perfetto. Un'altra caratteristica saliente di questo "lato A" è la fondamentale importanza delle percussioni, che si intrecciano con la voce scandendo il ritmo e dando spesso l'impressione di "sovrastare" le melodie stesse, affidate a synths eleganti e ovattati, con inserti acustici e cori in humming. Non è un male, anzi, questa particolare scelta stilistica crea un sound raffinato, moderno e originale.

Ma ad un certo punto il panorama muta completamente: a partire da "Thumbtacks In My Marrow", sesto brano in scaletta, il "ritmo" dell'ascolto cambia completamente: un album fino a quel punto abbastanza fluido e lineare comincia ad aprirsi, ramificandosi come il delta di un fiume. La metamorfosi comincia proprio da qui, questa seconda tranche di "Different Pulses" è di fatto l'embrione di "Gold Shadow". E "Thumbtacks In My Marrow" è un inizio dolente, quasi in punta di piedi, ma a suo modo spettacolare, di grande pathos e intensità: tormentato, quasi spettrale, fine lavoro di elettronica, cantato dimesso, che abbandona gli stilemi delle canzoni precedenti. Un punto di non ritorno, fine ma anche rinascita: "Leave a hint of your broken image before I shed this crackled glass and take the final leap into the womb of all rusted feathers, and I'll see you when I am born into your world again". Sonorità decadenti, velenosamente affascinanti, che dominano anche in "The Disciple", con un feeling più "western", strascicato e disilluso. Oltre a questo, anche un'elegante, impeccabile piano-ballad cantautorale come "A Gun & A Choice", interpretata con grande tarsporto, luminosa nonostante un testo tutt'altro che allegro, e una chiusura dolce, in punta di piedi, "Is This It", che regala un bellissimo intreccio di immagini e metafore.

"Different Pulses" è perfetto per questo periodo dell'anno: denso, malinconico, intenso, ma trasmette un'impagabile sensazione di calore; la musica di Asaf Avidan, specialmente in quest'album, è una continua ricerca della Bellezza partendo da sensazioni negative, da un'equilibrio interiore sempre fragile, precario, e questo è qualcosa di profondamente poetico. "But for the unquiet heart and brain, a use in measured language lies; the sad mechanic exercise, like dull narcotics, numbing pain"; così scriveva l'immenso Alfred Tennyson nella quinta poesia di "In Memoriam A. H. H.": una chiave di lettura universale per interpretare al meglio il lavoro e lo spirito di tanti, tanti artisti, di qualsiasi epoca e categoria, e che si adatta perfettamente anche ad Asaf Avidan. Avevo chiuso la racansione di "Gold Shadow" proponendo il testo di quello che ritengo essere il suo episodio più alto ed emozionante, lo faccio anche qui: "Conspiratory Visions Of Gomorrah", titolo intrigante e un po' ingannevole per una canzone di rara bellezza.

Sorrow is back in your eyes
Pulling us to the depth
We could have lasted like planets
But your weight dragged us both to our death
They've been sober around you
And I truly believed it'll suffice
But you're an addict for torture
And the sorrow is back in your eyes

The minor sonatas of Beethoven
Roll through your hips
But the words you are aching to sing
Are glued to your lips
They've been burning the wrongly accused
While you silently dance
But your beauty was such
That they all gladly stood in line for the chance

The amber around you
Has stiffened your thought and your limb
You're a fossil of love
A relic, an echoing hymn
The purity that once you delivered
Dissolved into sand
Lot has escaped and is dancing
But you're hardly able to stand

You won't work off your debt
Until you strip to your heart and your bone
The love that was once in your veins
Will dry into stone
The mist and the fog
Will densen themselves to a wall
And you'll finally sing
But I won't be there to hear your call

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