Guardi quelle montagne sulla copertina e ti chiedi cosa nascondano, se, una volta superate, ci sia il baratro, il precipizio, magari l'infinito di leopardiana memoria. Non ci è dato di saperlo, occorre affidarsi all'immaginazione.
"Amber", secondo lavoro degli Autechre, è un disco dagli spunti mistici, dove la techno ambientale della band sfiora la trance e l'ipnosi, dove soffusi battiti elettronici si incrociano a tappeti musicali suggestivi, evocativi.
L'abisso di "Foil", l'andamento regolare di "Slip", la maestosità di "Piezo", l'inquietudine di "Further": nel disco questo ed altro, con picchi emotivi di rara intensità.
Un lavoro profondo e sentito, più sospeso del capolavoro "Tri Repetae" (dove l'integrazione tra ritmica e melodia sarà perfetta), ma di gran lunga superiore alle ultime prove dei due inglesi, cacofoniche e pretenziose.
A conti fatti, mi piace pensarli ancora dietro quella montagna, gli Autechre, "...che da tanta parte de l'ultimo orizzonte il guardo esclude".
E il naufragar c'è dolce in questo mare.
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