Acqua. Tanta acqua. Sono tre mesi che non smette di piovere. E' il sei febbraio, venerdì. Piove pioggia e fango.
Il Cellar Theory non lo conosco. E' in Via Bonito, Vomero. Non ho mai amato quel quartiere: squadrato, inodore, europeo e confezionato come sono alcuni quartieri della periferia romana che infestano i miei ricordi e che spesso immagino di calcare durante le mie notti insonni. Ricordi che tento di annegare in una bottiglia di Johnny Walker. No, non mi piace quel quartiere. E non mi piace il Cellar Theory.

Sono le ventidue e trenta e sono in anticipo. Sono solo nel locale ed ho sete. Una birra, poi due. Il locale si riempie di gente e comincia a puzzare. E solo quando l'aria comincia a puzzare mi rendo conto di aver pagato una birra tre euro. Poi due, sei. Non sono sbronzo, ma mi duole la testa. Non sono sbronzo ed è molto meglio così, perché per oggi può bastare la multa di trentotto euro per sosta vietata presa nel pomeriggio. L'unico stronzo che prende multe per sosta vietata, a Napoli.

Puzza di chiuso, di fumo, di legno che arde e gente che parte. Puzza di piedi in cancrena. Le pareti sono dipinte di rosso. Fredde piastrelle di ceramica. I Bachi Da Pietra li avevo lasciati a "Tornare nella terra", disco d'esordio del 2005 di due musicisti bravi e con alle spalle una storia più o meno importante. OvO, Ronin, Madrigali Magri. Da allora di dischi ne hanno pubblicati altri due e me li ero persi entrambi. "Tarlo terzo" è l'ultimo. Il terzo.

Stipati in una stanza che è un corridoio. Le pareti sono dipinte sempre di rosso. Caldo umido. Il soffitto è basso e le piastrelle di ceramica del pavimento sono sempre fredde. Mi adagio alla parete quando i Bachi Da Pietra salgono sul palco e cominciano a suonare. L'acustica del locale è infame, le parole di Succi mi arrivano confuse e lontane, rimbombano le percussioni dell'enorme Bruno Dorella, c'è gente che parla e dei Bachi Da Pietra se ne frega. Mi duole la testa e mi guardo attorno: mi domando se ci sono altri che avvertono il mio stesso disagio. Adagiata alla parete, accanto a me, c'è una ragazza. Bianca, molto bianca. Ha i capelli neri e il vestito, nero, è scollato. Ride. La guardo mentre Dorella e Succi picchiano sui propri strumenti. Mi affido al brusio della voce e alle percussioni e guardo in basso. Guardo tra le gambe della gente come cercando di riconoscere qualche passo, qualche movenza. Un'ora e mezza, forse due. Bruno Dorella è soddisfatto dell'acustica del Cellar Theory. Lo guardo perplesso. Gli stringo la mano, gli chiedo come posso procurarmi una copia di "Non io", lo saluto. "Tarlo terzo".

Bruno Dorella, doppia pelle e il ferro, Giovanni Succi, gola, corda e il legno. C'è un curioso ringraziamento a I Pooh sul retro del booklet.

Servi, sterco, bastardi. Estate, fumo, caffè e cristalli. Scala del solaio. La formula è la stessa di "Tornare nella terra": Emidio Clementi paga tributo a Robert Johnson e Succi vomita lentamente le sue liriche su un tessuto di scarne chitarre e percussioni. La formula è la stessa, ma "Tarlo terzo" è più di una conferma o una riscoperta. C'è consapevolezza dei propri mezzi e che strafare non paga. Le liriche di Succi, se possibile, sono tanto scarne e essenziali quanto taglienti e precise, di stomaco. Le chitarre e le percussioni di Dorella non sono mai invadenti. Sporche. Ciondolano.

C'è muffa alle pareti. Piove.

Elenco tracce e video

01   Servo (02:40)

02   Mestiere che paghi per fare (02:46)

03   Tarlo della sete (04:28)

04   I suoi brillanti anni ottanta (04:28)

05   Lina (03:21)

06   Seme nero (05:40)

07   Lui verrà (02:23)

08   Andata (05:20)

09   FBD (Fosforo Bianco Democratico) (02:41)

10   Dal nulla nel nulla (05:55)

11   Per la scala del solaio (04:25)

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