L’ultimo album di studio nella lunga e variegata storia della Cattiva Compagnia, pubblicato nel 1996, è un mix in democratico fifty/fifty di brani riarrangiati appartenenti al primo periodo (stories “told”) e canzoni nuove di zecca (“untold”) per un totale di ben quattordici. Per una volta scelgo di descriverne il contenuto in maniera razionale e stringata:

One on One” in apertura è un classicissimo hard rock blues sincopato a’la Bad Company; il frontman Robert Hart riesce ad avvicinare moltissimo lo stile e la classe del celebre cantante originario Paul Rodgers… certo la sua voce è meno sexy ma possiede una punta di dolcezza ed ironia in più.

Oh Atlanta” stava in un grande album del ‘79 chiamato “Desolation Angels”; la resa è qui più spostata sull’acustico e sul country, del resto questo numero suonava tremendamente americano sin da allora e sin dal titolo. Lo fanno diventare ancora più yankee un piacevole solo di piano dell’ospite Matt Rolling e addirittura un solo di chitarra bluegrass dell’altro ospite Vince Gill, due bravi bravi.

You’re Never Alone” è una ballatona quasi in stile Eagles (ed infatti è presente ai cori la tenorile voce del loro bassista Tim Schmit), ma con una sezione ritmica tosta come gli Eagles non sono mai stati in grado di avere.

I Still Believe in You” è un’altra ballatona che stavolta suona AOR, grazie alla collaborazione di Bill Cuomo ai sintetizzatori, dedito ad organizzare tappetoni felpati alla Foreigner. Il ritornello è poderoso a dir poco, con cori oceanici e vagamente gospel di una moltitudine di gente e con Hart che però non si prende così sul serio come Lou Gramm e gli altri grandi interpreti del genere, tenendo saccarina e ruffianeria a livelli decenti.

Ready for Love” risale al primo vendutissimo album del ‘74; anche qui la versione è più acustica e rotonda, grazie ai cori del solito Schmit nonché di Max Carl dei Grand Funk Railroad un altro dotato di voce egregiamente alta e pulita!

Waiting On Love” è di nuovo inedita: bello il tintinnio delle chitarre acustiche ai due lati e il bel lavoro d’organo, il tutto con una resa finale che ricorda le cose di Don Henley e di Tom Petty, ma la melodia è banalotta. Hart però canta proprio bene, mobile ed espressivo.

Can’t Get Enough” è stata a suo tempo la celeberrima apertura dell’album di esordio; l’originale boogie rock è nell’occasione completamente trasfigurato in uno shuffle con tanto di batteria “spazzolata”, tutto in acustico al di fuori di un pianetto elettrico e un po’ di slide guitar, e tutto molto soul grazie ad una corista di colore che affianca Hart.

Is That All There Is To Love” è invece una ballata pianistica in stile Elton John, telefonata assai anche se elegante e trasudante classe esecutiva, ma ne ricorda centinaia di altre.

Love So Strong” finalmente viaggia decisa nell’hard rock grazie alla slide sapiente del maestro Mick Ralphs sopra il pedale di basso attanagliante dell’espertissimo Rick Wills (uno che ha fatto dischi e concerti con Frampton, Gilmour, Roxy Music, Small Faces, Foreigner, Lynyrd Skynyrd…). Hart qui urla parecchio e strizza fino al massimo la sua estensione vocale.

Silver, Blue & Gold” stava originariamente sul terzo lavoro “Run With the Pack” datato 1976 e non si allontana troppo dall’originale, al solito più rotonda e con ben altra produzione.

Dawnpour in Cairo” è un country blues teso e dondolante, reso un po’ stordente dal suono appiccicoso dell’accordion. E’ un poco alla Bon Jovi ma… meglio, c’è più classe e bravura.

Shooting Star”: a proposito di Bon Jovi, questa riedizione della magnifica cowboy song che abbelliva il secondo album “Straight Shooter” del 1975 vede come ospite alla 12 corde il loro chitarrista Richie Sambora, mentre Hart duetta con la biondissima e rochissima Kim Carnes nei ritornelli.

Simple Man” è ancora un’auto cover, l’originale presente su “Run With the Pack”; suoni di chitarra imperiali per questo eccellente rock blues lento dal riff ipnotico, una figata tutte le chitarre sia quella acustica che quella passata attraverso un Leslie che quell’altra suonata col ditale slide: uno dei numeri migliori, teso ed autenticamente animoso.

Weep No More” è l’epilogo, ancora “told” risalendo l’originale all’album “Straight Shooter”; è uno shuffle soul gospel a’la Joe Cocker con fiati, organo, pianoforte, tutto il necessario.

Queste “Storie dette e non dette” della Bad Company costituiscono una pagina sapiente, adulta, calibrata eppur ancora passionale e viva della loro carriera, con il vecchio e glorioso british rock blues reso nella maniera più americana possibile dai cinque inglesissimi e navigati musicisti, abili a suonare solo quello che è necessario e far respirare la musica, senza imbellettarla mai inutilmente. E’ un bel commiato discografico di una valente formazione.

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