Nella vita serve avere certezze.

Tipo, che Barrence Whitfield è totalmente pazzo.

Chi si offre volontario per raccontare vita, morte e miracoli di Barrence?

Nessuno-uno-no-o? (effetto-eco)

Allora lo chiedo a … (aaaaa?????) … lo chiedo a … (aaaaa?????) …

Tranquilli, non serve improvvisare fantozziane tecniche di mimetizzazione con l'ambiente circostante.

Ci penso io a portare il vecchio Barrence su questi lidi.

Oddio, non è che ne sappia poi così tanto.

So che non è più un giovanotto di primo pelo, qualche anno in più di 60 ce l'ha.

Che viene da Chicago.

Che la parte maggiore della sua vita l'ha spesa a cantare soul, blues e rhythm'n'blues.

Che la sua vociona sta registrata su una quindicina di dischi, più o meno.

Che i dischi che ha fatto si assomigliano tutti, non sono chissà che capolavori però sono estremamente divertenti, ma quando ce n'hai uno basta e avanza.

Che poi è quello che dicono i miscredenti che non hanno visto la luce portata da Joey, Johnny, Dee Dee e Tommy, ma i dischi dei Ramones sono tutti uguali, ho il primo o qualsiasi altro a caso, mi basta e mi avanza.

Ecco, per me finora è andata così con Barrence.

Mi sono portato a casa «Let's Lose It», anno 1990, perché lo pubblica la New Rose e in quel periodo mi porto a casa tutto quello su cui ci sta impresso il marchio della New Rose.

Tutto il resto o quasi me lo sono ascoltato concedendomi qualche distrazione ma non ci ho mai messo sopra le grinfie, perché quel «Let's Lose it» mi è sempre stato sufficiente da ritirare fuori periodicamente per godermi una mezz'oretta di (in)sano cazzeggio musicofilo.

Nel senso che se ci sta da movimentare l'ambiente e riscaldarsi per bene, allora i dischi di Barrence sono perfetti; e ci si fa pure una gran figura, tutti a dire, forte 'sto disco, oh bello, ma che è? Barrence Whitfield? mai sentito nominare! certo che conosci proprio tutto, hai una cultura musicofila che fa impressione!

E mica glielo dico che, oddio, non è che ne sappia poi così tanto, di lui c'ho solo questo, soprattutto quando mi ritrovo di fronte due occhioni incastonati in un visino stile Charlize Theron.

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Poi, un paio di mesi fa, Barrence annuncia l'uscita del nuovo disco, che si intitola «Soul Flowers of Titan».

Mi ascolto il singoletto apripista «Let's Go to Mars» e mi pare una gran cosa.

Per cui piazzo l'ascolto su DeBaser e non raccatto nemmeno un commento, né uno straccio di bello.

Neppure un bello, dico, mica mi aspetto che si materializzi Charlize, sbucando in carne e ossa dallo schermo del tablet.

Nemmeno un brutto, a dire la verità.

Insomma, il buon Barrence passa inosservato.

Io però me lo sono segnato che a breve esce l'album.

Inizio di marzo, per la precisione.

Me lo ascolto per bene.

Me lo compro seduta stante.

Perché il nuovo album di Barrence è una bomba.

E adesso ve lo racconto.

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Riparto da qui, che la maggior parte della sua vita Barrence l'ha spesa a cantare soul, blues e rhythm'n'blues.

E anche questa volta non si sposta di un millimetro dalle coordinate che gli sono familiari.

Che per l'appunto sono quelle di un soul-errebbì di vecchio stampo, abrasivo e urlato alla maniera di un Wilson Pickett o di un James Brown qualsiasi.

Solo che Barrence lo canta come se fosse Little Richard che imita Gerry Roslie.

Gerry è il cantante dei Sonics, per capirci.

E non basta.

Perché Barrence mette su una formazione che ricalca quella dei Sonics come se fosse un trasferello.

Chitarra, basso e batteria, ovvio, e pure tastiere e sassofono.

I Sonics pari pari, in forma e sostanza.

E quel sassofono che strepita come una chitarra in iperfuzz.

Ché i primi tempi che ascolto i Sonics, storie di trent'anni fa, mica me ne rendo conto che “quel” suono viene fuori da un sassofono e non da una chitarra in overdose distorsiva.

E quindi qui abbiamo a che fare con i Sonics che suonano soul e rhythm'n'blues e Gerry per stare meglio nella parte si mette a imitare Little Richard.

Che poi Little Richiard fa rock'n'roll ma va da sé che tra i solchi di «Soul Flowers of Titan» pure il rock'n'roll scorre a fiumi.

Per non dire del blues.

Giusto per dare un'idea.

Ci sta tantissimo soul, inteso come suono e come la passione che Barrence ci riversa dentro: soul tirato fino ai limiti del garage in pezzi come «Pain» e «Sunshine Don't Make the Sun», pura materia Rocket From The Crypt, per chi li conosce e se li ricorda; soul affogato nei riffoni che i Rolling Stones trafugano a chissà chi e poi li infilano dappertutto dentro quei capolavori che sono «Sticky Fingers» e «Exile on Main Street» e Barrence pensa bene di costruirci su «I Can't Get No Ride»; soul puro e semplice, che di riferimenti ne ha fin troppi e quindi inutile stare a dirli, come in «Tingling» e «I'm Gonna Leave You».

Ci sta un bel po' di blues dentro «Slowly Losing My Mind» e «Tall, Black and Bitter» e pare di sentire Buddy Guy che ce l'ha col mondo intero e per fargliela pagare si mette a fare il diavolo a quattro.

Ci stanno i tributi pagati a chi questi suoni li ha partoriti e li partorisce ogni giorno e ne porta i segni sulla pelle, e non c'è da stupirsi se la splendida «I'll Be Home Someday» ricorda in qualche passaggio «I Put a Spell on You», o se «Let's Go to Mars» e «Adorable» citano con poco pudore «I'm a Man» e «How Many More Times».

Ci sta una chiusura da favola, che poi sono due pezzi da favola, «Edie Please» e «Say What You Want».

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Tirando le somme.

State cercando il suono del nuovo millennio?

Siete fanatici di post, new e alt?

Grazie di essere arrivati quasi fino alla fine ma, spiacente, questo album qua non fa proprio per voi.

Barrence è uno dei tanti per cui, se nel 1965 sono usciti «Here Are The Sonics», «Papa's Got a Brand New Bag» di James Brown, «In the Midnight Hour» di Wilson Pickett e se ne volete altri date ascolto «I Wish It Could Be 1965 Again», il suo orizzonte finisce lì e non esiste motivo al mondo di suonare diverso dal 1965.

Però per tirare fuori un disco del genere, oggi, bisogna essere pazzi.

E Barrence Whifield è totalmente pazzo.

Questa è un'altra certezza nella mia vita.

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Poi è vero che il disco è intitolato a Barrence Whitfield in primis e i Savages stanno solo dopo la “&”, come se il loro contributo fosse minore.

Però se vi chiedete perché questo disco suona come suona, allora è bene sapere che il selvaggio chitarrista è tale Peter Greenberg.

E che il progetto “Barrence Whitfield & The Savages” forse, ma forse, esiste più per opera di Peter che di Barrence.

E che Peter produce l'album.

Chi si offre volontario per raccontare vita, morte e miracoli di Peter?

Nessuno-uno-no-o? (effetto-eco)

Allora lo chiedo a … (aaaaa?????) … lo chiedo a … (aaaaa?????) …

Tranquilli, non serve improvvisare fantozziane tecniche di mimetizzazione con l'ambiente circostante.

Perché questa paginetta finisce qua.

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