Vi è mai capitato di tornare su una recensione? A me sempre, perchè scrivo di getto, anche troppo... sulla recensione dei Battles da me pubblicata qualche tempo fa ci sono una serie di commenti che mi hanno fatto riflettere.. quello di ..caz.. in primis per esempio, quando parlava di "cadenze mezzo gay"... e poi gli ultimi due, quando in maniera diversa dalle conclusioni che ne ho colto, ma comunque in modo illuminante, mi fanno notare come i Battles abbiano un'intrinseca tendenza all'infantilismo, secondo chi nei modi, secondo chi nelle intenzioni.

Questo mi ha indotto a ampliare in maniera determinante quello che già scrissi. Quando parlavo dei Battles nei termini di una musica fortemente "antipositivista" non avevo colto l'essenza di questo aspetto. Che è un'essenza capace di rendere, secondo me, questo disco forse il più importante di questo decennio, certo il più illuminante.

La chiave di tutto, e il mio errore nella precedente recensione, era considerare questo disco un'evoluzione del post rock. Niente di più sbagliato: questo album è intrinsecamente la negazione totale del post-rock, non una sua evoluzione. Il forsennato isterismo delle evoluzioni ritmiche di pezzi come "Rainbow" non sono una citazione del progressive, ma anzi il suo esatto contrario, come se tutto all'apparenza fosse in un modo ma in realtà il suo aspetto speculare, esattamente come da copertina: le evoluzioni ritmiche sono anzi palesemente effetto e risultato di un'accezione espressiva istintiva e disordinata e instancabile, curiosa e imprevedibile, il punto di vista espressivo di un bambino.

La musica dei Battles è dunque musica anche e sopratutto "embrionale", musica non ingenua, ma che parla, racconta, assume il punto di vista dell'ingenuità... è dunque in questo che sta il suo essere musica di una gigantesca contraddizione, se a maggior ragione si tiene conto degli aspetti armonico/melodici delle melodie dei Synth e della voce: è lo scontro incontro di razionale/irrazionale, di infantile e programmatico, di caotico e ordinato; aspetti che come già scrissi sono ulteriormente esemplificati dall'incrocio di elementi elettronici e "fisici".

Mirrored assume dunque i connotati di una gigantesca riflessione meta-musicale: l'avanguardia, oggi ma soprattutto in futuro, più che fare i conti con la complessità dovrebbe riscoprire la semplicità come esigenza linguistica; ciò che i Battles raccontano non è una soluzione, ma il problema: sono gli unici in effetti a essersi realmente posti un problema di tipo estetico e questo, al di là di qualsiasi considerazione musicale, li rende realmente avanguardia; lo stravolgimento del loro punto di vista sta nel considerare ciò che di complesso e programmatico c'è nella loro musica non il futuro, bensi la tradizione, il loro passato culturale. E invece è proprio in quelle distorte e inquietanti melodie "involute" che loro rigirano le carte in tavola e aprono uno sguardo verso il futuro; il volutamente contraddittorio "rinchiudersi" entro un contesto di esplicita e addirittura osannata elementarità è d'altronde tanto un esigenza estetica (la più preponderante) quanto un'esigenza esistenziale: l'infantilismo è probabilmente più in generale una risposta al caos; sono in molti non a caso ad aver intuito (o riscoperto) le potenzialità del "naif", ma solo i Battles, e qui sta la loro grandezza, nel selvaggio evolversi delle loro filastrocche hanno conferito a questa intuizione una potente accezione fenomenologica: è infatti uno dei pochi dischi, come anche in questo caso mi fece notare in un commento Psychopompe, che racconta. E aggiungo, sa davvero raccontare e descrivere la realtà. E come diceva Pasolini, non c'è niente che sappia raccontare meglio la realtà della poesia.

È dunque proprio con la loro ardita metafora che i Battles si configurano come uno dei pochi gruppi realmente espressivi di oggi.

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