E' sempre più raro e difficile per me trovare un disco da ascoltare fino in fondo senza un senso irritante di profonda noia. E dunque mi sento una specie di miracolato quando metto su il nuovo fresco fresco disco dei Battles, 'Mirrored'', e mi viene un acceso moto di divertito scatenamento.

A dir la verità la reazione è stata al secondo ascolto; al primo l'incipit di "race in" mi aveva lasciato l'agro gusto delle solite autoreferenzialità che nonostante il post rock sia vecchio di 15 anni ancora ti spacciano per innovative. Ma poi al secondo ascolto arrivo a toccare anche "atlas" e "ddiamondd", rispettivamente secondo e terzo pezzo. E non mi ci stacco più dal disco, vado fino in fondo di filata, perchè qui in realtà si parla d'altro. Il problema di "Race in", giusta introduzione, è che si rifà al passato. Cita ancora il Math come indubbia base dei Battles, che però si sono evoluti. Eccome. ciò che è rimasto è quell'approccio esplicitamente razionalistico, quello squadrare e inquadrare programmatico, quel quasi dodecafonico trasportare gli intervalli armonici in quanto tali. Ma adesso di programmatico c'è anche l'intento, non solo il linguaggio. E nell'intento i Battles diventano il concetto stesso di destabilizzazione.

Prendono funk, elettronica, hardcore, post, e li distruggono sotto i colpi di accetta di un serial killer che è anche tipico maniaco ossessivo, di quelli che di giorno si vestono in giacca e cravatta. La loro non è infatti violenza sonora, ma il lato oscuro dell'imprevedibilità, del suono che non ti aspetti, del cambio dinamico o di tempo, eppure il tutto mai a ruota libera, ma sempre costretto dentro il tema, forzato nella ripetizione. Dunque la loro è musica di un tentativo di controllo che non riesce, di un sistema che falla, di un'apparenza che sottintende sempre un lato oscuro, ancor più tremendo perchè mai libero, mai realmente inconscio o istintivo. In altri termini questa contrapposizione razionale/irrazionale, entrambe imperfetti e incompleti, la si può riscontrare nell'incontro scontro di suoni sintetizzati e umani, i primi sempre imperfetti nel loro tentativo di squadrare e quindi razionalizzare tutto tipico dell'elettronica perchè mischiati e sviscerati da una mano umana sempre percettibile, i secondi a loro volta scarnificati da un tentativo parossistico di ricondurli sempre ad un'interpretazione "robotica", per l'appunto squadrata e "monotimbrale".

E' una musica che SEMBRA ragionata, ma che smentisce sempre la sua esternata razionalità. In sostanza l'intrinseca essenza dei Battles è quella di essere profondamente antipositivisti. Per questo assolutamente contro-tendenti nonchè scomodi. La loro è musica prima di tutto beffarda, e filosoficamente all'opposto di tutto ciò che si giustica solo per il suo esistere in altri tempi.

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