Il blues è roba da americani. Senza dubbio.

Per scrivere una recensione su un disco del re del blues si dovrebbe quindi avere una conoscenza (anche e forse soprattutto storica) del genere.

In ogni caso, ricordandoci che la musica è universale, cerchiamo di scoprire quello che "Guess who" riesce a tirare fuori dagli animi di noi latini abituati ai suoni di mandolini e liuti.

L'anno è il 1972. Lo stile di B.B. King è cambiato molto rispetto a quello degli anni '50, questo non per un diverso approccio alla 6 corde (che invece è restato e restarà immutato negli anni), quanto piuttosto al modo di concepire la stesura di un brano. Sarà quindi per il fatto che i tempi erano cambiati, o sarà stato per l'apporto dei diversi musicisti dei quali si è avvalso il grande B.B., che la sua musica venne a colorarsi di alcune venature caratteristiche di generi diversi. Il pop innanzi tutto. Ecco quindi che negli arrangiamenti compaiono una serie di accorgimenti che impreziosiscono i pezzi differenziandoli l'un l'altro anche per i suoni scelti.

L'inizio del brano di apertura del disco in questione è la conferma di quanto detto. Un'introduzione molto soul che presenta alle orecchie un brano che sarà molto caldo per tutta la sua durata e che avrà il sapore di ballata pur essendo relativamente veloce. Gli arrangiamenti ai cori e ai fiati fanno tutto questo lavoro in maniera egregia e renderanno la prima traccia come la più bella del disco. Dopo tre minuti di calda passione però il B.B. King al quale eravamo abituati già ci manca, e l'omone nero non ci delude presentando "Just can't please you". Si parla della solita fanciulla che fa invaghire l'autore e che lo porta a fare un pezzo vispo e a sparare una voce arrabbiata. Meno male che ci sono gli assoli di Lucille a ritemprare l'animo. Uno stile simile si trova nella terza traccia dove troviamo nuovamente quel sapore un pò più pop di cui sopra. Ma sempre di blues si parla e B.B. non si smentisce mai, neanche con questo pezzo (pieno di fiati anch'esso) che presenta come caratteristica principale la melodia del ritornello. Carina. E' arrivato il momento di placare i toni. Ci pensa "You don't know nothing about love". Bel brano, ma che non spicca fra gli altri.

Le successive 2 tracce "Found what I need" e "Neighborhood affair" non si segnalano per particolare bellezza e anche "It takes a young girl" rientrerebbe nella categoria se non fosse per la curiosità del titolo, per gli abbellimenti di sax e l'assolo piacevole di B.B.. "Better loving man" si ascolta con piacere. Peccato che con la traccia titolo si cade nuovamente nella "normalità" di un pezzo senza troppe peculiarità se non alcuni fraseggi solistici di chitarra che resteranno impressi con facilità per essere considerati quasi un riff ad un secondo ascolto. Meno male che dopo una certa mediocrità si chiude in bellezza. Il penultimo brano ha una voce che torna un pò al radicato vecchio stile blues con un misto di voce piena e falsetti. Ora sì che si ragiona. Ma è un pò tardi però perché siamo arrivati a "Five long years", cavallo di battaglia di B.B. King, ma ultimo brano del disco. Il testo di solito secondario nella maggior parte dei brani blues lo conoscono un pò tutti gli amanti del genere e il cantato è un mix fra voce pacata e vocalizzi incazzati molto incalzanti (gioco di parole non voluto). Sono costretto a segnalare il rifacimento del brano che 28 anni dopo B.B. King farà nel disco che porta il suo nome e quello del mostruoso Eric Clapton. Grazie a "manolenta" "Five long years" acquisterà una forza e un'intensità difficile da eguagliare.

In conclusione un disco senza infamia e senza troppa lode. Ma il voto 4/5 se lo merita per la classe di colui che l'ha inciso. E quella di B.B. King non è acqua.

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