Partiamo da qui per analizzare la seconda parte di “Automata”: https://www.debaser.it/between-the-buried-and-me/automata-i/recensione

Per valutare nel complesso l’opera “Automata I” era necessaria l’uscita di “Automata II”, perché le copie sorelle, di fatto, costituiscono un unico album.

Poteva essere un capolavoro, dicevo nella prima recensione, ma, post-ascolto, devo dire che non lo é.

E’ sicuramente un super album (I + II), ma l’ho trovata più una trovata discografica che altro. Non che mi sia giocato lo stipendio per acquistarli, ma prima di cominciare a cibarmi dei 35’ (o poco meno) realizzati dai BTBAM, ero febbrilmente frenetico.

Cosa volevano fare? Dove volevano andare? Cosa hanno aggiunto o cos’hanno tolto rispetto a opere precedenti?

Non so. Ho trovato una paradossale, stantia, ma colossale, bravura tecnica e creativa che ti rende partecipe, indiscutibilmente, durante l’ascolto, ma ti lascia un po’ troppo poco post-ascolto. Troppo poco rispetto a “Coma Ecliptic”, più in generale.

“The Proverbial Below” apre l’album, per la durata di oltre 13’, con una cura e precisione tecnica da parte del duo Waggoner-Richardson (chitarra solista e batteria) da far impallidire il parco musicisti terracqueo. L’atmosfera più coinvolgente la crea la voce di Rogers ed il basso continuo, prima di pianoforte, poi ripreso dalla chitarra di Wagers intarsiata armonicamente al basso di Briggs.

E’ una traccia lunga, in un paesaggio da Blade Runner 2049, che abbraccia, come al solito diversi stili, creandone uno unico e riconoscibile, anche se lo stacco attorno all’ottavo minuto mi risulta veramente indigesto al primo, al secondo e all’ennesimo ascolto. Paracitando Don Abbondio, per me, questo stacco non s’aveva da fare!

Nel complesso, questa entrata mi risulta un buon dolce, ma un po’ stucchevole.

L’intermezzo “Glide” potrebbe essere quasi un brano dei Gogol Bordello edulcorati e non aggiunge molto, ma aiuta a spezzare la pesante prima traccia dalla miglior traccia del secondo EP, ovvero “Voice of Trespass” (che allego) con elementi rockabilly e jazz, fusi con il metalcore. Nella traccia c’è il richiamo evidente a “Condamned to the Gallows” di Automata I.

“The Grid” è una degna conclusione, con momenti d’impatto come l’entrata della semiacustica a due terzi di canzone con la ripetizione, modello mantra, di “We are in this together”.

In questo mondo automatizzato, in cui siamo protagonisti di una società che pensa alla visibilità invece che all’essenza; loro dicono a chiare lettere che “in questo, ci siamo tutti e ci siamo tutti insieme”.

Loro compresi, ovviamente.

Non credo sia una condanna, quanto un “prendiamone coscienza” e partiamo da questo punto per decidere autonomamente cosa fare, perché altrimenti il rischio di arrivare nell’ottica della società distopica accennata nella prima recensione, è lì, dietro l’angolo.

Potevano fare un album unico, dovevano fare un album unico, poi capisco le strategie di marketing aziendale, ma in questo caso non le condivido.

Alla fine della coppia di EP rimango con un album solo e un filo di amaro in bocca.

Poteva essere, ma non è stato.

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