Un album fra i più influenti degli ultimi trent'anni. O, se si preferisce, il manifesto dell'arte obliqua di un musicista con pochi eguali, uno di quelli che davvero hanno "fatto la differenza" nel modo di creare musica, suonarla e metterla su disco. E ancora, un monumento di impressionante padronanza tecnico-strumentale, un'opera che rivaleggia alla pari con i capolavori della Fusion del periodo senza di fatto abbracciare nessun genere, senza seguire coordinate stilistiche ben definite. E' "cross-over", nel senso etimologico (e più letterale) del termine.

E' un bassista, Bill Laswell, ma è soprattutto un "cervello" dal quoziente intellettivo incalcolabile. Ed è uno dei bassisti che da sempre ho invidiato di più, assieme ai Pastorius, ai Clarke, ai Levin, ai Claypool... Insomma, quei musicisti che puoi ascoltare, studiare, indagare, approfondire quanto vuoi, ma che in un'intera vita non riuscirai mai ad imitare, manco per intercessione divina. Io, da bassista e discreto esecutore di Rock e Jazz, vi dico che quanto si ascolta in un album come "Baselines" fa mettere le mani nei capelli, più o meno la sensazione che provo quando mi vado a riascoltare la "Donna Lee" di Jaco o l'assolo centrale di "School Days". Troppa tecnica, e fosse solo quella... C'è il Genio dello strumentista per il quale lo strumento non ha segreti, c'è il gusto per la variazione continua e impensabile (nessuna battuta somiglia alla successiva); c'è una precisione, una velocità, una costanza nell'intensità dei colpi degna di un robot; c'è la tendenza ad esplorare, in uno stesso pezzo, scale diverse in tutta la loro estensione; si sale, si scende, si indugia, si torna a correre su scale modali mescolate a moduli arabeggianti, si cambia tempo svariando con disinvoltura da divisioni pari a divisioni dispari, si condisce il tutto con estemporanei e sopraffini glissati (e i glissati suonati al "fretless", lasciatemelo dire, sono quanto di più bello si possa ascoltare da un bassista: pensate al compianto Mick Karn, che di questa particolare tecnica ha fatto il suo marchio di fabbrica).

C'è anche, ed è forse l'aspetto che più risalterà negli anni successivi a questo debutto, una curiosità spiccatamente etnica e "sperimentale", che porterà Bill a flirtare più di una volta con l'elettronica, a proporre ardite soluzioni "drum & bass", a sposare l'avanguardia "zorniana" (e "byrniana"), a percorrere complessi sentieri fra Dub e Industrial, Hardcore e Metal; calpestando le etichette e cuocendo tutto assieme in un minestrone di stili in cui sfido chiunque ad orientarsi. Persino la "spoken word" di un'icona beat come William S. Burroughs non è sfuggita all'"onnivora totalità" della sua arte. "Baselines" (è il 1983) descrive le fasi iniziali di questo itinerario, e ad affiancare il bassista dei Material è un collettivo di grande qualità, in cui spicca il nome di Fred Firth, un altro santone dell'"avant-music" che non avrebbe bisogno di presentazioni. E la sua vena dissacrante è percepibile ovunque, impregna di sé l'intero album, dal primo all'ultimo minuto. E il trombone di George Lewis, di tanto in tanto presente per parentesi semi-rumoristiche, conferma l'impressione: qui abbiamo a che fare con una curiosissima, quanto magistrale fusion di surrealismo inglese di marca "seventies" e avanguardie newyorkesi di sapore No-Wave; con, in più, l'energia e la possenza ritmica del miglior Funk-Jazz del periodo (nello stesso anno Laswell suona in "Future Shock" di Herbie Hancock, album di cui è anche produttore e co-autore). Tanta roba, insomma. Tanta da non potervela riassumere tutta, altrimenti vi addormentereste...

...al contrario, qua c'è poco di che annoiarsi, a partire dal Free estremo di "Activate": un rullo compressore che schiaccia tutto, un vortice di inaudita violenza strumentale, dominato nella seconda parte dalle convulse linee soliste di Bill (impossibile avere un quadro preciso della situazione, se non dopo una decina di ascolti); eppure tutto ha un senso, tutto è al suo posto, gli strumenti collidono ma non si calpestano, c'è una "ratio" ordinatrice al di sopra di quanto si ascolta, figlia di una rigorosa (maniacale?) pianificazione di studio. I sette e rotti minuti di un'esotica e fremente "Work Song" rivelano nel bassista un mostro nell'uso del pedale, fra distorsioni e dilatanze a far da sfondo al saxtenore di Ralph Carney, e a frammenti di voce campionata. Irresistibili lo slap e le percussioni caraibiche di "Hindsight"; sorprende l'elettronica "sporca" e iconoclasta di "Uprising" e quella (più discreta) di una cupa "Upright Man", sconvolgono gli echi di Capt. Beefheart che si odono in "Lowlands"; ma c'è da restare semplicemente a bocca aperta quando si ascoltano i neanche 2 minuti di "Moving Target": è una lezione di basso elettrico, e mentre ascolto quelle stoppate e quei passaggi da capogiro rosico a non finire, perché so che non arriverò mai a suonare in quel modo...

E' un disco che vi farà girare la testa, insomma, ma dal quale avrete la conferma definitiva di essere in presenza di un fenomeno (l'interminabile lista di illustri collaborazioni del Nostro, del resto, parla forse più d'ogni altra cosa). E chi questo "Baselines" non l'avesse ancora ascoltato, è pregato di rimediare quanto prima...

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