Per recensire un album come Substrata, credo che un buon modo per iniziare sia quello di guardare l'immagine di copertina. A prevalere è il bianco, un colore che evoca un'immensa distesa ghiacciata o innevata; nel riquadro al centro, invece, campeggiano delle montagne lontane, immobili, sovrastate da un cielo azzurro e terso.

La scelta cromatica, unita alla bella foto scattata a un paesaggio nordico, trasmette delle sensazioni precise, riconducibili al gelo, all'inverno, ai rumori di una natura che crediamo di dominare in maniera illusoria quando è essa, al contrario, a dominarci.

Queste vibrazioni carpite dai nostri sensi trovano una perfetta sintesi nelle undici tracce del disco, un monolite di elettronica ambientale che, a venticinque anni dalla sua uscita, non smette di sorprendere e rivelare particolari inediti a ogni nuovo ascolto.

Geir Jennsen, in arte Biosphere, riesce con Substrata a compiere un autentico miracolo. Il producer norvegese, infatti, non si limita ad abbandonare le ritmiche ambient-house di Microgravity optando per un sound cupo, ovattato e minimalista, ma realizza un capolavoro senza tempo, una sinfonia in più movimenti che riesce a trasporre in musica la solitudine, il silenzio, la malinconia e, al tempo stesso, il fascino dell'inverno polare.

La grandezza di Substrata, insomma, non si esprime solo nelle sue composizioni sospese, formate da loop che rimandano a situazioni di stasi, ripetizione o immobilità, ma soprattutto nella capacità di fondere natura e artificio, musica e vita, attraverso l'uso di registrazioni rubate da Biosphere durante le sue escursioni e perfettamente armonizzate all'interno degli arrangiamenti.

Ecco che in "As the Sun Kissed the Horizon" troviamo voci lontane intrecciate con un aereo che solca il cielo notturno, mentre lo scorrere dell'acqua anticipa le atmosfere inquietanti di "Chukhung", tutta echi e riverberi. Non mancano momenti intimisti come "Times When I Know You'll Be Sad", dove lo scricchiolio o scoppiettio della legna, seguito da un sample di chitarra flangerata, ci fa pensare a una giornata trascorsa in casa, quando fuori nevica e tutto è avvolto da una nebbia fitta. E in "Sphere of No-Form" c'è addirittura il sibilo del vento ad accompagnarci attraverso soundscape algidi, desolati.

La ricerca di Biosphere non si ferma di fronte a nulla: il musicista scandinavo saccheggia parole, fruscii e persino dialoghi della serie cult Twin Peaks, che conferiscono una dimensione narrativa agli intrecci di tastiere e synth di "The Things I Tell You" o all'onirica "Hyperborea", un brano che sembra alludere a boschi e a misteriosi incontri paranormali (non a caso viene campionata la voce del maggiore Briggs, personaggio scomparso nel nulla mentre si trovava nelle foreste circostanti la ben nota cittadina).

Il risultato finale supera non solo l'eccellenza, ma anche ogni possibile aspettativa. Substrata, infatti, è una di quelle opere per le quali si può davvero sprecare la definizione di "classico", un'esperienza immersiva in grado di sospendere il tempo e lo spazio, paragonabile quasi a un sogno.

Poco importa se i ritmi di Microgravity e Patashnik sono assenti o ridotti a semplici suggestioni, innesti che si insinuano nel nostro subconscio come il canto degli uccellini e il rumore di un ruscello montano. Ciò che importa è la cornice complessiva e Substrata colpisce pienamente nel segno, al punto da essere ricordato ancora oggi come uno dei dischi più importanti della storia della musica elettronica.

Lasciamoci dunque cullare dalle note di chitarra "Poa Alpina", un pezzo meraviglioso capace di infondere pace, tranquillità, beatitudine. Perché anche di questo è capace Geir Jennsen, alchimista sonoro che, al terzo tentativo, raggiunge il vertice indiscusso della sua produzione artistica.

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