Yves Klein ha passato una vita alla ricerca del colore ideale per trovare il suo personale orizzonte definitivo e ci è riuscito solo attraverso il blu. Quello che un giorno sarebbe poi diventato il celebre International Klein Blue, l’unica gradazione cromatica che al suo occhio sapeva trascendere spazio e tempo, cielo e terra. Ha cercato quel blu nelle forme e nel significato per settimane, mesi, anni. E quando l’ha trovato in un mosaico caleidoscopico di sensazioni ed emozioni, l’ago della sua bilancia artistica ed esistenziale si è posizionata in un perfetto equilibrio.

Fa quindi spezzare un sorriso malinconico vedere come i Birds In Row utilizzino il riferimento al pittore francese per tramutarlo in un Gris, il grigio, e infiocchettarlo come titolo del loro terzo full length in -oramai- oltre 10 anni di carriera. Un “Gris Klein” che appare e prende le sue sembianze nell’urlato della cacofonia noise di “Trompe L’Oeil” con uno switch vertiginoso, dall’illusione di vulnerabilità dagli echi Emo Midwest dei primi due minuti, alle giugulari esasperate che gridano allarmate “But here Klein Blue just turned to Grey”.

Fin dai mini-van rotti di “Cottbus” quello dei Birds In Row è stato un viaggio tortuoso che -per giunta- ha attraversato un decennio ricco di trasformazioni socio-culturali che hanno da sempre fornito una tavolozza bianca con cui riempire il loro universo cromatico post-hardcore dal cuore nevrotico, che sposa certi riferimenti screamo, alle aperture più intime e dilatate che ben si confondono con le tinte autunnali che accompagnano questa uscita. Il tutto ancorato ad una mentalità DIY mai in secondo piano.
Con l’abrasività di“You, Me & The Violence” si indagava come la violenza fosse permeata nel quotidiano, il tumultuoso “Personal War” la trasportava in una dimensione introspettiva, mentre “We Already Lost the World” era il manifesto di un mondo oramai prossimo al collasso. Un album uscito nel 2018 e quasi premonitore di quel che poi sarebbe successo nel 2020 con la pandemia e il lockdown ad inasprire dinamiche sia psicologiche che sociologiche. Periodo -non a caso- in cui questo “Gris Klein” è stato concepito e composto. Eppure qui la prospettiva dei Birds In Row sembra essere cambiata e l’indizio principale ce lo fornisce l’elettricissima“Nympheas”: “No wonder why you feel so fucked up sometimes. You’re chasing bright colors over dirty blues.”

Se “Fossils” chiudeva “We Already Lost The World” con un’arida cantilena in un apocalittico deserto dove tutte le speranze parevano essersi vaporizzate, Gris Klein” invece ricorda più un’onda d’urto che invita a reagire al torpore di quel che si vive sulla propria pelle, per arrivare a trovare quei fatidici bright colors: sfumature che si diffondono come delle venature intrecciate ed articolate lungo tutta la durata dell’album. E il tema artistico non è solo un’allegoria usata da Bart, Quentin e Joris, ma un asse portante che irradia il disco con un flow quantomai cristallino, stratificato e camaleontico. Non useremmo la parola avanguardia, ma qui i francesi si spingono ben oltre le loro coordinate, tuffandosi nell’oscurità più profonda. E in questo il passaggio granitico di “Noah” ci appare come un monito agghiacciante “And they’ll take us all where oxygen runs dry, and gold won’t buy room for any of us”.

I rimpianti claustrofobici, ma ariosi di “Water Wings”. L’oppressione e l’abbandono del post punk bruciante di “Confettis”. L’isolamento delle “Cathedrals” nel vuoto più polveroso. I Birds In Row non nascondono nulla del disastro che esiste attorno a noi -“reality is a fraud” apre l’apnea feroce di “Daltonians”- ma in qualche modo, con quelle poche forze, sopravvivono. Si dilaniano e si aggrappano nel lavoro roboante di registri vocali cangianti, nelle pennellate di un basso lanciatissimo fuori giri e in una batteria sempre tonica e reattiva, pronta a mutare scenari in un nano secondo insieme all’instancabile lavoro di chitarra, che sa sia aggredire che mostrarsi fragile come non mai, ed è così che si costruisce il vero quadro di “Gris Klein”. Un quadro dove si respira un senso d’urgenza sempre pulsante.

Quel che viene modellato dai Birds In Row ha la cura certosina e minuziosa degli amanuensi, dove ogni brano confluisce dentro l’altro, per una coerenza narrativa che ci porta alla fine del tragitto senza cedimenti. Resistendo come uno statuario ed industrial “Rodin”- che deve evitare di scalfirsi dai detriti che scheggiano promesse già ardue da mantenere-, o attraverso le luci e le ombre dei grigi decadenti di “Grisaille” in un cortocircuito di evasione e fuga senza alcun scopo ultimo:“We try to understand who we are. It feels like we wanna change the weather from rainy to stupid grey”.

“Gris Klein” risuona come una cupola di cristallo che fa cadere dal cielo una copiosa cenere di sigarette che sommerge tutto, che spegne i colori come se fosse un gelido inverno “Winter, Yet”, ma alla fin fine lì, sotto quella cupola, ci siamo tutti noi che danziamo, balliamo incuranti dei vicoli ciechi e di fiori appassiti. Non ci pieghiamo. Reagiamo. Insieme. Ed è questo il messaggio poetico e corale di “Secession” per un disco che può essere già annoverato come l’ennesima perla di una band che non ha più bisogno di presentazioni: “We dance. We dance. On the soundtrack of a life that leaves a bitter taste. Wandering around a blizzard, a coughing lighter in hand, hoping for an exit sign to shine anywhere.”

Che sia dunque il Gris Klein il colore di questa generazione? Una ricerca che i Birds In Row hanno voluto intraprendere, affrontare, sviscerare e urlare a tutti noi, per ricordarci chi siamo e chi vorremmo essere, per navigare verso porti più sicuri: la tempesta e la mareggiata ci saranno, ma se eviteremo di affondare, la destinazione finale potrà essere -invece- il nostro Klein Blue.

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