Il 1970 fu un anno incredibile per i Black Sabbath. Il sontuoso tour che fece seguito alla pubblicazione di “Paranoid” aveva consentito ai Sabs di affacciarsi con successo su entrambe le coste dell’Atlantico, donando loro una visibilità tanto meritata quanto pericolosa.

I Quattro si trovavano alle soglie di una terza release con la necessità di confermare le indiscutibili doti espresse fino ad allora. Un'ulteriore complicazione era rappresentata dal malcontento che la pubblicazione del nuovo lavoro dei Led Zeppelin (III) aveva generato nelle fila dei numerosi heavy rock fans dell’epoca. Fu così che Tony Iommi in persona si premurò di rassicurare il pubblico, dichiarando che l’imminente pubblicazione dei Sabbath avrebbe portato alla ribalta un suono ed un modello compositivo ulteriormente appesantito. La promessa fu mantenuta. Nessun singolo venne rilasciato, come del resto la tendenza dell’epoca indicava, se si fa eccezione per un demo su 7 ” a scopo promozionale sui cui solchi trovava spazio una certa “Children Of The Grave”…

“Master Of Reality” si apre con una perla del repertorio targato Black Sabbath, “Sweet Leaf”. Più che il testo, che chiaramente fa riferimento allo stato emozionale generato dall’assunzione di eroina, a colpire è la struttura musicale della composizione, la quale richiama in maniera evidente numerosi stilemi caratteristici della futura scena Grunge. La successiva “After Forever”, attribuita al solo Iommi, si pone in netta antitesi riguardo alle accuse di satanismo fioccate numerosissime sulle spalle della band, proponendo una serrata quanto coerente critica all’imperante bigottismo e riduzionismo in campo religioso ed etico. Alla strumentale “Embryo”, anch’essa scaturita dalla magica mano del chitarrista dei Sabs, è affidata l’introduzione della già citata “Children Of The Grave”. Basti affermare che questo capolavoro è uno dei pochissimi brani che saranno riproposti da tutte le future formazioni assunte dal combo inglese. Manifesto di una nuova epoca, di una nuova gioventù che andava letteralmente divorando e spazzando via la cultura Hippy in favore di una più profonda e consapevole presa di coscienza della decadenza e corruzione della realtà contemporanea. Orchid, secondo strumentale e terza composizione accreditata al solito Tony, mostra in pieno la duttilità dei Black Sabbath: sussurrante ed onirica. Si ritorna su binari più canonici e forse meno entusiasmanti con “Lord Of This World” per poi farci condurre al limite della disperazione e della desolazione umana dalla splendida “Solitude”, traccia piuttosto anomala, che ripercorre, sviluppandolo, il mood caratteristico di “Planet Caravan”. Un vero abisso di melanconia che non può venire dissolto nemmeno dagli imponenti riffs della conclusiva "Into The Void".

Indubbiamente “Master Of Reality” esalta il lato più profondo e pesante della band di Ozzy Osbourne ma nel contempo propone una grand’abilità nel tessere trame più delicate ed intimiste tanto a livello testuale quanto in ambito compositivo.
Masterpiece assoluto.

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