Difficilmente il vostro amico metallaro, quando si finisce a parlare dei Sabs, tirerà in ballo i dischi della fine degli anni Settanta, quasi ci si volesse dimenticare che quegli LP siano anche solo esistiti.

Inutile negare che dopo “Sabotage” del 1975 - per molti considerato l'ultimo 33 giri davvero degno di nota prima della parentesi con Ronnie James Dio - le cose in quel di Birmingham non stessero girando per il verso giusto. Tour su tour e la bellezza di sei album in cinque anni iniziavano a chiedere il conto e a questo punto chiunque avrebbe iniziato a mostrare qualche, ehm, “cedimento”. Se ci aggiungiamo pure che ai tempi il gruppo annaspava tra mille beghe legali e che ormai, con il botto del punk, gente come Led Zeppelin e gli stessi Sabbath agli occhi di molti appariva ormai come dinosauri, c'era solo da chiedersi a che ora sarebbe arrivata la definitiva estinzione.

Tony Iommi e soci, nonostante tutto, si chiudono in studio – più Iommi che gli altri, ad essere onesti – per cercare di tirare fuori qualcosa di valido, ma a quanto pare non si sa davvero che pesci pigliare. Da qualche tempo ai quattro si è unito anche il tastierista Jezz Woodruffe, che alla fine si ritroverà a scrivere buona parte della musica, ma l'atmosfera è di sfiducia generale. Alla fine, comunque, il disco arriva finalmente nei negozi, accolto con indifferenza. Le vendite vanno male e forse anche l'immagine di copertina non aiuta più di tanto, nonostante abbia il suo fascino.

Ma la musica? Diciamo che “Technical Ecstasy” è un disco “vario”, forse anche troppo. Se in passato ogni album dei Sabs si era contraddistinto per un suono peculiare figlio di una continua evoluzione – il blues distorto dell'esordio, il proto-doom di “Master of Reality”, le influenze prog di “Sabbath Bloody Sabbath” - “Technical...” sembra non avere una direzione ben precisa, risultando spesso spiazzante, saltando di palo in frasca.

“Back Street Kids” parte col botto, con un andamento galoppante e Ozzy che urla nel microfono come ai tempi migliori: un pezzo ottimo per aprire il disco. Non si inventa niente di nuovo ma va bene così. Si vola decisamente su alti livelli con “You Won’t Change Me”, con un Iommi in grande spolvero e la tastiere di Woodruffe a farla da padrone, con le strazianti liriche che vanno a completare un brano dai toni disperati come ai tempi d'oro. “It’s Alright” è una gradita sorpresa: Ozzy lascia il microfono a Bill Ward per un brano pop che tradisce tutto l’amore dei quattro per i Fab Four, delicato e orecchiabile. “Gipsy”, che chiude il lato A, si snoda tra i lunghissimi assoli di un Iommi in buonissima forma e atmosfere prog, segnando un altro punto a favore del disco. Il secondo lato è aperto da “All Moving Parts (Stand Still)”, un brano forse più canonico ma comunque piacevole, tenuto in piedi anche da un testo alquanto strampalato. “Rock ‘n’ Roll Doctor” è invece davvero evitabile, un pezzo che avrebbe avuto senso solo se scelto come lato B di qualche singolo: la sua presenza sul disco fotografa perfettamente la confusione che regnava ai tempi all’interno del gruppo. Si riparte con “She’s Gone”, che sembra riprendere il discorso iniziato anni prima con “Changes” su “Volume 4”: i sintetizzatori dettano legge in un pezzo lento e infarcito di tristezza, valorizzato da un Ozzy in stato di grazia. Il grande finale è affidato a “Dirty Women”, pezzo potente e ben strutturato, un piccolo Bignami delle tante sfaccettature di “Technical Ecstasy”.

Come detto prima, le vendite furono un disastro e quanto pare gli stessi Sabs non dovettero essere troppo soddisfatti del risultato finale: durante il successivo tour brani come “It’s Alright” e “She’s Gone” – a modo loro quelli più sperimentali del 33 giri - sarebbero stati lasciati fuori dalla scaletta, per andare a puntare solo sui pezzi di maggiore impatto.

A conti fatti, “Tecnical Ecstasy” è comunque un disco piacevole da ascoltare, con diversi picchi e qualche caduta di stile, che vede i Sabbath allontanarsi dall’hard rock degli esordi per avvicinarsi ad un rock più camaleontico, con sintetizzatori e melodie che diventano parte integrante del suono del gruppo. L'imperativo era "restare al passo coi tempi": a volte ci si è riusciti egregiamente, a volte meno.

Se la pubblicazione del disco viene contestualizzata, comunque, ci si rende conto di come, alle orecchie del pubblico del 1976, tutte queste sperimentazioni dovettero risultare assolutamente indifferenti, e i Sabs apparivano a molti come un gruppo che ormai aveva fatto il proprio tempo. Per tornare in cima all’Olimpo del rock i quattro di Birmingham avrebbero dovuto aspettare i primi anni Ottanta ma la magia dei tempi migliori era ormai un ricordo: Tony Iommi avrebbe continuato a guidare i Black Sabbath tra mille cambi di formazione, Ozzy si sarebbe imbarcato in una carriera solista di grande successo. Ma questa è davvero un’altra storia.

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