Mettiamo le cose in chiaro fin da subito: questa, una volta tanto, è una storia a lieto fine. Funestata da qualsiasi casino immaginabile, liti pluridecennali, finte riappacificazioni, morti, "cagate pazzesche" e colpi di genio, ma comunque a lieto fine.

Perché questa è la storia di quattro "promettenti" operaiacci dell'Inghilterra (sotto)proletaria degli anni Sessanta, nati in un contesto socio-economico che definire "svantaggiato" sarebbe un eufemismo e che, sulle prime senza manco rendersene conto, sono passati da un roseo futuro accanto ad una catena di montaggio al calcare i palchi di tutto il mondo, non mezzo, tutto! Fine della favola. Ah, i protagonisti sono quattro disperati, per intendersi i compagni di classe del tecnico (quelli al liceo manco li facevano avvicinare) da ultimo banco, di quelli che te stesso a sedici anni pensi "questo sarà un fallito a vita" e poi anni dopo, mentre su facebook chiedevi l'"amicizia" a qualche arrapante bionda dal nome impronunciabile, ritrovi e scopri che sono diventati salesmanagergrandirettorefigliodiputt e che lo "sfigato" di bionde dal nome impronunciabile ne ha quante ne vuole. Ah, e se ci aggiungiamo pure che il "big bang" di tutto, il la, è stato un incidente sul lavoro con tanto di amputazione, roba da prendere una pensione di invalidità, il gioco è fatto. Perché francamente, anche a vederli in faccia, a 'sti quattro non gli metteresti un cent bucato in mano, che tanto già si capisce come se lo andranno a spendere. Il batterista vorrebbe avere velleità da rockettaro ma, per sua stessa ammissione, ha "una formazione jazz", che si traduce con "se non seguo la chitarra sono perduto", ma ci sa fare. Lasciamo poi perdere gli altri due, il bassista è un tipo stralunato fissato con i film horror (giusto perché all'epoca non era ancora uscito "Guerre Stellari") e il chitarrista è un tipo da gang pure mezzo italiano (oh, ce l'hanno nel sangue). Qualsiasi commento su quella specie di cantante, uno che più che cantare si lamenta dietro un microfono, con un nome tanto "elegante e british" che sembra quasi uno scherzo affibiato a questo avanzo di galera che, tra l'altro, balbetta pure, è superfluo.

Cognomi e nomi, please: William Ward, Terence Butler, Frank Anthony Iommi, John Osbourne. E' fatta, questi saranno a vita sulle spalle di Sua Maestà, dei contribuenti e faranno la fortuna del baretto locale. E invece no, la congrega di disperati non solo ce la fa, ma mostra delle doti pazzesche, un'inventiva fuori dal comune e semplicemente scrive le coordinate di quello che sarebbe stato il rock duro nei cinque decenni a venire. Un capolavoro, sembra un edificante romanzo dell'Ottocento, il Compagno Cipputi è diventato una rockstar. Perché i quattro tipi poco raccomandabili che rispondono al nome di Black Sabbath questo sono, quattro non-troppo-aspiranti-operai che, stando nel posto giusto al momento giusto, ce l'hanno fatta, tra l'altro partendo da quello che avevano, senza doversi inventare nulla di stratosferico o inimmaginabile. A risentirli oggi, i vari "Black Sabbath", "Master of Reality", "Sabbath, Bloody Sabbath", ti stupisci ancora di come abbiano fatto a fare la Storia, con la S maiuscola, dischi in sè nemmeno difficilissimi da suonare, ma che avevano un'attitudine e un suono unico, riconoscibilissimo, anche se si cambiava genere da un disco all'altro, ma mantenendo sempre un filo comune, un tratto distintivo, quella sottile linea rossa che unisce il malsano blues degli esordi con l'heavy metal epico degli anni Ottanta. Rileggere oggi la loro storia è rileggere la storia dell'Inghilterra che negli anni Cinquanta ancora si ricorda delle bombe di Baffetto. Periferie desolate, emarginazione, disoccupazione: nel pittoresco sobborgo di Aston le possibilità per te, mio giovine metallaro ante litteram, sono due, o vai a spacciare o la fabbrica. Punto. Zero. Come tuo padre e come suo padre ancora prima di lui. Praticamente servi della gleba in jeans e maglietta. "Non eravamo hippies e gli hippies li odiavamo": ma certo, come potresti? Ma quale flauerpauer, qui a quindici anni sai benissimo che il massimo che ti puoi aspettare dalla vita è lo sferragliare della catena di montaggio, su turni lunghissimi e interminabili, il sudore, la fatica, e occhio a non rimetterci una mano sotto qualche pressa. Per favore, qui chiunque alla minima possibilità scappa. E visto che qui si deve fare di necessità virtù, tanto vale trarre il "meglio" dalla situazione, esorcizzarlo e...scriverne! Possibilmente in musica.

"Wicked World", "War Pigs", "Solitude" sono il risultato di tutto ciò: sono il parto di una classe operaia ai limiti dell'esasperazione che vede in quattro accordi in croce la speranza di un futuro migliore. Di sicuro Marx da qualche parte parla anche di questo. I testi sono spesso allucina(n)ti, mostrando una realtà assolutamente cruda passata però sotto la lente distorsiva di un appassionato di fantasy e horror. I capitalisti da guerra diventano quindi dei viscidi "maiali", i nazi da quartierino delle improbabili "fate", un film horror degli anni Sessanta un sogno tanto improbabile quanto reale. Perché alla fine nei testi dei Black Sabbath, nonostante le apparenze, c'è moltissimo della vita di tutti i giorni, un riflesso di quelle che potevano essere le aspettative di un giovane "non troppo agiato" della più desolata Inghilterra degli anni Sessanta. E a rileggerli oggi sembrano quasi un compendio socio-politico dell'epoca: Vietnam, politica, una primissima idea di ambientalismo, la ricerca di un futuro migliore, un inaspettato quanto propositivo spirito di speranza puramente cristiano, costanti riferimenti all'uso dilagante di droga. Musicalmente, per i due che non lo sapessero, si oscilla tra una base blues e accenni prog, tra psichedelia ed un primordiale doom.

Tutto questo in una manciata di album compresi tra il 1970 ed il 1973: se l'omonimo esordio e l'immediato seguito "Paranoid" (1970), figli diretti degli anni Sessanta e del blues più "pesante" (in tutti i sensi), non disdegnano assolutamente pillole di puro heavy, con Iommi e Butler a farla da padroni, "Master of Reality" (1971) a distanza di quaranta anni ha un incedere pachidermico e "grasso" che fa impallidire qualsiasi aspirante gruppetto gothic-doom. "Volume 4" (1972) mostra qualche pecca ma anche molta classe ben calibrata, fino a "Sabbath, Bloody Sabbath" (1973) e il suo tocco psichedelico-prog, "ingentilito" com'è dalla presenza di Rick Wakeman dietro le tastiere, forse summa del suono del gruppo. Ad una banda di poco più che ventenni non si poteva chiedere di meglio: a che serve ascoltare altro quanto c'è chi lo ha già fatto e lo ha fatto pure meglio? Con i Black Sabbath la classe operaia (ri)fa la rivoluzione, ma basso e chitarra hanno preso il posto di pistole e bombe: Pizzetto Lenin sarebbe stato fiero di loro. Naturalmente non puoi fare a vita il megafono di una generazione e tutti i giochi belli durano poco: già a metà anni Settanta il gruppo è in crisi, Ozzy lascia, l'ispirazione non è più quella di un paio di anni prima e inizia una girandola di formazioni, che porteranno nel gruppo anche personaggi che definire improbabili sarebbe un complimento. Iommi farà i salti mortali per tenere in piedi la baracca, quasi sempre con egregi risultati, va riconosciuto, ma non sarà mai più la stessa cosa. In puro stile rockstar appagata faranno anche mille reunion, naturalmente promettendo ogni volta che sarà l'ultima, mentre nel frattempo ti fanno già sapere le date del tour successivo, un po' come i Kiss che hanno fatto tour di addio per dieci anni di fila. Di questa specie di favola social-rockettara questo è il bignami, rigorosamente non ufficiale, ovvero i Lor Signori non ci hanno messo la faccia, ma di sicuro al momento buono avranno riempito la tasca, e, strano ma vero, è anche il più completo che ci sia, almeno prima che da Black Sabbath diventassero la Iommi Band e il microfono passasse nelle mani di un po' chiunque.

Di loro si è detto e ridetto di tutto, ma alla luce della duemillesima reunion farsi un rapido ripasso dell'ABC del rock'n'roll non fa mai male.

Black Sabbath

Wizard

N.I.B.

Evil Woman

Wicked World

War Pigs

Paranoid

Planet Caravan

Iron Man

Electric Funeral

Fairies Wear Boots

Sweet Leaf

Embryo

Children of the Grave

Lord of This World

Into the Void

Tomorrow's Dream

Supernaut

Snowblind

Sabbath Bloody Sabbath

Killing Yourself to Live

Spiral Architect

Hole in the Sky

Don't Start (Too Late)

Symptom of the Universe

Am I Going Insane [Radio Edit]

Dirty Women

Never Say Die

Hard Road

Heaven and Hell

Turn Up the Night

Dark/Zero the Hero

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