La seconda metà degli anni '80 rappresenta un periodo turbolento per i Black Sabbath, che ruotano intorno alla carismatica figura di Tony Iommi. Questi non riesce a tenere insieme una line-up fissa che rappresenti degnamente il gruppo, dopo le peripezie legate a Seventh Star giusto l'anno precedente. Ma inaspettatamente nel 1987 arriva l'ancora di salvezza, incarnata nella persona di Tony "The Cat" Martin, che riporterà una relativa stabilità all'interno della band. Eric Singer (futuro Badlands e Kiss) alla batteria, Bob Daisley (ex Uriah Heep, ex Rainbow ed ex Ozzy Osbourne) al basso ed infine il fido Geoff Nicholls alle tastiere formano il nucleo che inciderà The Eternal Idol assieme ai due Tony (Iommi e Martin). Il primo capitolo dell'era Tony Martin a dire il vero non è il più entusiasmante.

Nel complesso ci troviamo di fronte ad un album discretamente buono, contente delle buone composizioni e dei brani alquanto fiacchi e deboli. "The Shining" è un opener da paura, in cui l'arpeggio viene eseguito con un magico effetto della chitarra e il basso ululante vibra di sottofondo. Il riff è efficacemente potente e la voce è energica e ricorda quella di Ronnie James Dio, come fanno notare i puristi. "Ancient Warrior" invece è un brano meno convincente, dove cantato e chitarra si intrecciano formando strani voli pindarici e un ritornello debole. "Hard Life To Love" va un po' meglio, con un po' più di scorrevolezza dettata dalla dinamicità del riff alquanto sostenuto nel ritmo. Glory Ride si mantiene sul livello non proprio eccelso della canzone precedente, dal taglio nettamente più orecchiabile, quasi sentimentale nelle tastiere del ritornello. "Born To Lose" è veramente spettacolare, e torniamo in alto come The Shining. Il riff spacca come una lastra di marmo sui denti, con l'overdrive bello tagliente, tipico di Iommi anni '80 e anche qui la band è in perfetta sintonia con le esigenze vocali di Tony Martin, per non parlare dell'assolone di chitarra.

"Nightmare" è il brano d'atmosfera del disco, in cui pervade un certo misticismo nel riff, con un'accelerazione azzeccata a metà canzone e una reminescenza che rimanda alle atmosfere di 'Sabotage' (riascoltare Thrill Of It All per credere). Scarlet Pimpernel è di tutti i branetti strumentali acustici scritti da Tony Iommi nel corso degli anni il più bello mai composto. Sembra veramente di volare ascoltando questo pezzo fatato, che lascia un attimo di respiro all'ascoltatore. Ma le emozioni forti riprendono con Lost Forever, senza però particolari scossoni o brividi lungo la schiena. Il finale del disco è invece straordinario: la title-track, una ballata acida in stile 'Born Again', ma molto più cupa, sepolcrale, oscura e sinistra. Ancora una volta vanno tessute le lodi a Tony Martin, che canta con un pathos inaudito, supportando ed esaltando alla grande le apocalittiche circonvoluzioni chitarristiche di Tony Iommi. Anche le lyrics sono notevoli, come non se ne vedevano da anni: una cupa riflessione sull'oltretomba, in cui salta fuori il dubbio che da secoli assilla l'uomo (Is there a heaven, is there a hell? / Who's this God, tell me there's no God above), stavolta molto diverso dal positivismo religioso che aveva caratterizzato brani come After Forever o A National Acrobat, entrambe canzoni dell'era Ozzy Osbourne.

Transizione è il termine che più si addice a questo disco, ma anche ricerca di stabilità, che ben presto verrà raggiunta. "The Eternal Idol" è tutt'oggi l'album meno venduto dei Black Sabbath. La produzione è scadente, frutto di tre i produttori diversi (Jeff Glixman, Vic Coppersmith, e Chris Tsngarides) che ne combineranno di ogni, come ad esempio accreditare Dave Spitz (basso) e Bev Bevan (percussioni), i quali non suonarono una sola nota di "The Eternal Idol" e che durarono solo qualche settimana prima di venire subito scartati da Iommi & Co. Il brusco abbandono del manager della band Don Arden e un sound non proprio al top mettono la ciliegina sulla torta. Ma non bisogna neanche dimenticare la grinta di un chitarrista-leader che non vuole darsi per vinto e dell'entusiasmo di un cantante destinato ad entrare prepotentemente di diritto nella storia del Sabba Nero.

"The Eternal Idol" non arriva in alto ove splendette la "Settima Stella", non troverà posto nel Pantheon vichingo di "Tyr" e neppure sarà mai una pietra miliare come "Headless Cross", tuttavia la sua importanza storica è vitale per le sorti della band. Sinceramente si può dire che non sia affatto un album da buttare, pur non essendo a livelli propriamente stratosferici.

Carico i commenti... con calma