I Black Sabbath si affacciarono agli anni Novanta con ritrovata energia. Il decennio precedente era stato per Tony Iommi un mezzo calvario: se gli LP pubblicati erano sempre di ottima qualità, tenere in piedi il gruppo era diventata un'impresa disperata, tra cantanti cambiati nel bel mezzo dei tour e turnisti che andavano e venivano. Se della formazione che aveva registrato i leggendari “Paranoid” o “Heaven And Hell” - che comunque già presentava una band rimaneggiata – era rimasto solo il chitarrista, l'unico che sembrava non preoccuparsene più di tanto era proprio lui, il “riffmaker” per eccellenza. Dopo album di peso che però avevano venduto pochissimo, “Seventh Star” (1986) e “The Eternal Idol” (1987), Iommi aveva attuato una vera e propria rifondazione del gruppo intorno al giovane cantante Tony Martin, autentico carneade rivelatosi un'inaspettata sorpresa in quanto a capacità interpretative, e Cozy Powell, rodato batterista britannico che i Sabs già corteggiavano da anni. “Headless Cross” aveva dato modo ai Sabbath di riuscire, nel 1989, a riaffermare il proprio nome, con un tour approdato addirittura in Russia, qualcosa di impensabile fino a qualche tempo prima, e per una volta anche il numero di copie vendute era stato più che discreto.

Forti quindi di un nuovo corso che sembrava finalmente dare i risultati sperati, nel '90 i Sabbath tornano con “Tyr”, album che fin dalla copertina sembra prendere le distanze da quanto fatto fino a quel momento, con delle rune che incorniciano un cupo cielo e che ben rappresenta questa nuova incarnazione del Sabba, con le liriche da film horror di serie B del disco precedente accantonate in favore di testi ispirati alla mitologia nordica.

“Anno Mundi (The Vision)” è uno dei migliori pezzi mai scritti dal Sabba Nero, antipasto di un disco che rimarrà, per tutta la durata, su livello altissimi. Un giro di chitarra introduce un canto in latino, subito prima che entri in scena il mai troppo lodato Tony Martin, che qui tocca note davvero stratosferiche, la cui interpretazione è ottimamente supportata da una delle migliori sezione ritmiche dell'hard rock britannico, con il già citato Cozy qui affiancato dal basso di Neil Murray, andando a riproporre una coppia già vincente ai tempi dei Whitesnake. “The Law Maker” è una mazzata, un pezzo compatto e veloce, decisamente insolito per un gruppo come i Black Sabbath, abituati da sempre a ritmi decisamente più moderati, impreziosito da un Powell tellurico come in poche occasioni e un Iommi che inanella assoli a raffica. Le tastiere di Geoff Nicholls, sempre presente, anche se dietro le quinte, creano il tappato sonoro di “Jerusalem”, che unisce melodia e potenza e dà modo di rifiatare dopo che il LP ha avuto una partenza col botto. “The Sabbath Stones” riporta i Sabs alle atmosfere evocatiche che avevano caratterizzato album come “The Eternal Idol” e “Headless Cross”, riuscendo ad alternare passaggi cupi e lenti ad altri decisamente più concitati, con un risultato talmente maestoso e affascinante da avvicinare il gruppo a territori fino a quel momento inesplorati, ovvero quelli dell'epic metal. La seconda facciata del vinile, in quanto ad epicità, non vuole essere di certo inferiore alla prima, con “The Battle Of Odin” e “Odin's Court”, completamente giocati sulle tastiere di Nicholls, che conducono l'ascoltatore, è il caso di dirlo, fino alle porte del “Valhalla”, ennesima gemma dimenticata di una discografia sterminata. Nonostante i mille cambi di formazione, raramente i Sabs si sono ritrovati a scegliere i musicisti sbagliati: il mai troppo lodato Cozy Powell si rivela per l'ennesima volta essere un batterista roccioso ma preciso, autentico valore aggiunto ad un gruppo davvero in stato di grazia. Tony Martin, qui cantore di terre ghiacciate e battaglie dal sapore mitico, resta invece un grande mistero del rock: come un cantante del genere non venga annoverato tra i migliori è inspiegabile. “Feels Good To Me” è un discreto hard rock melodico, un brano che sembra scritto appositamente per sperare in qualche passaggio in radio, ed infatti l'IRS, l'etichetta discografica, ne ricavò prontamente sia un video che un 45 giri. Si arriva alla conclusione con “Heaven In Black”, che riporta il 33 giri alle atmosfere che permeano l'intero lavoro, con i Sabs che anche qui si dilettano con un heavy ritmato e potente.

“Tyr” fu l'ultimo grande album dei Black Sabbath: non potrà mai avere l'importanza storica di un “Master Of Reality” ma la qualità è davvero elevatissima e dovrebbe essere annoverato tra i migliori del gruppo accanto ai vari “Heaven And Hell” e “Mob Rules”. Per un'ironia della sorte, invece, non solo il disco è fuori catalogo da anni, ma dopo il tour la formazione che l'aveva inciso si sfasciò rapidamente, arrivando all'allontanamento di Tony Martin in favore del rientrante Ronnie James Dio. Si trattò di reunion puramente di “interessi”: i Sabbath fremevano per rientrare nel giro dei vari Monsters Of Rock, dal quale erano esclusi da anni, mentre la carriera del cantante era arrivata ad un punto morto dopo il deludente “Lock Up The Wolves” del '90. Naturalmente l'idillio durò pochissimo e Iommi alla fine si vide costretto a richiamare all'ovile proprio Tony Martin, condannato al ruolo di eterna ruota di scorta. Da tempo si parla di una serie di ristampe degli LP dell'era Martin, ma finora non si è ancora visto nulla: i dischi sono comunque reperibili in streaming in rete, insieme a molte registrazioni dei tour dell'epoca; sicuramente un modo per colmare una lacuna su un pezzo fondamentale di storia dell'hard rock.

Black Sabbath:

  • Tony Martin, voce
  • Tony Iommi, chitarra
  • Neil Murray, basso
  • Cozy Powell, batteria
  • Geoff Nicholls, tastiere

“Tyr”:

  1. Anno Mundi (The Vision)
  2. The Law Maker
  3. Jerusalem
  4. The Sabbath Stone
  5. The Battle Of Odin
  6. Odin's Court
  7. Valhalla
  8. Feels Good To Me
  9. Heaven In Black
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