L'arrivo di un nuovo lavoro dei Blackfield solitamente non viene accolto con grosso clamore, essendo essenzialmente un side-project dal sound asciutto e semplice che non suscita mai particolare curiosità. Ma un minimo di curiosità in più prima dell'uscita di questo lavoro forse c'era nella mente degli ascoltatori. Certo, perché quando Steven Wilson annunciò che in questo quarto capitolo la sua mano sarebbe stata meno presente tutti si chiedevano cosa avrebbe fatto Aviv Geffen usando molta più farina del proprio sacco.

Wilson infatti canta in sole due tracce come lead ("Pills" e "Jupiter") e in una come backing vocals ("Sense of Insanity") e suona alcune parti di chitarra dedicando il resto del lavoro al missaggio. La carriera solista è sempre di più l'interesse principale del genietto inglese al punto da accantonare momentaneamente anche il suo progetto principale e più noto, i Porcupine Tree, che si spera tornino un giorno. Da menzionare anche la presenza di tre guest vocalists.

Venendo a parlare del disco posso tranquillamente dire... che quest'assenza non si fa sentire affatto. Ci troviamo di fronte ad un album intriso del rock melodico, diretto, semplice e sentimentalista che caratterizzava le uscite precedenti. Chi è rimasto deluso dall'album penso che probabilmente lo abbia giudicato senza cogliere quella che è la vera essenza del progetto Blackfield: la semplicità. I Blackfield sono una band che si prefigge di suonare un rock delicato ed emozionante senza troppe pretese e pertanto anche le pretese di chi ascolta non dovrebbero essere mai troppo alte. Anzi, i Blackfield SONO il rock melodico in persona! Riescono ad essere molto semplici senza perdere la raffinatezza, senza che gli arrangiamenti diventino mai piatti, cosa che spesso accade quando si punta all'easy listening (si ascolti la marea di gruppetti che il mainstream ci propina, dove sembra veramente che i pezzi siano scrivacchiati tanto per farli...).

Neanche la durata veramente risicata del disco si è rivelata un ostacolo alla qualità. L'album infatti dura soltanto 32 minuti scarsi e le 11 canzoni che lo compongono non raggiungono mai i 4 minuti (a volte nemmeno i 3 e in due occasioni addirittura nemmeno i 2).

Brani come, "Springtime" "Sense Of Insanity" propongono un ottimo connubio fra ritmi moderatamente movimentati e arrangiamenti d'archi. "Pills" e "Faking" invece sono dominate dai tappeti orchestrali. In "X-Ray" il lead vocalist è Vincent Cavanagh degli Anathema e il risultato non può essere che convincente; riesce a dare profondità sentimentale anche ad un brano estremamente semplice.

Brano di spicco è anche "Lost Souls" con la sua chitarrina vivace e decisa ma sempre velata da un senso di malinconia. "Firefly", con la voce decisa di Brett Anderson degli Suede e con il suo ritmo più sostenuto, sfocia nell'indie-rock melodico; in mezzo anche inserti tipo synth alquanto inusuali per lo stile del progetto.

I brani invece più particolari sono indubbiamente le brevissime "After the Rain" con il suo inusuale drum'n'bass e "The Only Fool Is Me", cantata da Jonathan Donahue dei Mercury Rev, dal sapore quasi medioevale.

Quelle che mi prendono un po' di meno sono "Jupiter" e "Kissed by the Devil" che alterna comunque bene riff più rockeggianti e melodie più delicate e profonde.

In sostanza abbiamo un album che non sorprende né delude, semplicemente conferma quanto i Blackfield hanno saputo darci nei dischi precedenti regalando una mezz'ora di musica toccante e diretta senza chiedere troppo e soddisfacendo senza problemi orecchie e cuore. Da apprezzare semplicemente per quello che è!

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