Non so se avete mai avuto occasione di ascoltare "Buck Jam Tonic", documento di una session giapponese del 2002 in cui John Zorn capeggiava uno strano "power-trio" (ma si, chiamiamolo pure così) con Bill Laswell e Tatsuya Nakamura. Nakamura...? Chi era costui? Son passati diversi anni da quando il sottoscritto ascoltò quel disco: di Giappone sapevo poco o nulla, di MUSICA giapponese ancor meno e l'unico Nakamura che conoscevo ero quello che giocava con la Reggina e tirava le punizioni a giro. Punto. Però una cosa l'ho intuita quasi all'istante: questo Nakamura è un animale, più che un batterista. Madonna quanto mena, questo qua: roba che John Bonham e Carmine Appice parevano femminucce, a confronto. Andate a scovare quel disco, casomai non l'abbiate sotto mano, e andatevi ad ascoltare l'attacco di batteria di "Old Dragon" o "Lobo": ti prende di sorpresa, questo animale, ti fa saltare sulla sedia, ti fracassa i timpani; e ha quel sound grezzo, ignorante, meravigliosamente cafone che ormai è sempre più raro sentire su disco (non sui dischi di Zorn, ovviamente); la cassa la martella, le pelli le sfonda (senza mezzi termini), i piatti li fa squillare come piatti da cucina; però c'ha anche uno stile unico, informale, ti fa Jazz come non lo farebbero tutti i batteristi, e varia, varia, varia... potrebbe andare avanti con quelle rullate per ore. Là dove un Keith Moon sveniva sul palco, questo ti continua a suonare (e a star dietro al delirio di Zorn anche per 28 minuti filati: ho reso abbastanza l'idea...?).

Tempo dopo, iniziata la mia definitiva immersione fra le meraviglie nipponiche, torno ad imbattermi nel sig. Nakamura quando scopro un gruppo che, in termini di Rock locale anni '90, ha detto qualcosa. Più di qualcosa. Aaahhh... ecco dove l'aveva scovato, quel marpione di Zorn: coi Blankey Jet City. Mi son visto alcune loro foto, non mi convincevano del tutto: parevano quei pupazzetti idoli delle ragazzine che spopolano in Giappone, Corea e dintorni (maledetto barbiere). Volevo lasciar perdere, poi la loro musica mi ha preso. E di brutto. Un disco più bello dell'altro, per intenderci.

Sono un trio con Nakamura, il chitarrista Kenichi Asai (ha fatto pure qualcosa per conto suo, chi volesse saperne di più mi contatti) e il bassista Toshiyuki Terui, che ultimamente ha suonato con un gruppo chiamato Rosso. Si mettono assieme nel '90, e un anno dopo esce il loro primo LP (questo). Lo registrano a Londra per la Toshiba, e ci mettono dentro tutto. Tutto quello che il Rock giapponese poteva dare in quei giorni, tanto che "Red Guitar & The Truth" lo troverete sempre ai primi posti delle classifiche locali; quelle tipo "miglior album giapponese di sempre", "opera più influente dei '90" etc etc... Non dico che sia un "Nevermind" (oddio l'anno è proprio quello), sta di fatto che è un disco-simbolo, scandaloso anche, se vogliamo: testi di delinquenza giovanile, degrado, emarginazione. Al ritmo di un Blues ferocemente elettrico, spinoso, aggressivo fin dalla prima nota: un Blues in salsa texana ("Texas" si intitola il singolo tratto dall'album, tuttora inno della band), fra chitarre alla S.R.Vaughan e sontuose ritmiche "shuffle", riverberi vocali e riff molto Surf, molto "sixties" in generale. E qui si capisce che non è un caso, se prima che nei Blankey Nakamura ha militato negli Stalin, gruppo di punta dell'anarco-Punk nipponico dei primi anni '80: rullante pesantissimo, fill essenziali e tremendamente veloci, approccio molto brutale. Dieci pezzi da beccarsi come un cazzotto nello stomaco, fino ai sei minuti di "Mother", "metallico" racconto di frustrazione di un teen-ager abbandonato dalla famiglia (che combina la chitarra di Asai...? Ascoltate, ascoltate).

Dai su, cinque stelline a questo lo devo dare. CONSIGLIATISSIMO ai punkettoni avidi di Blues e Rockabilly e ai bluesmen più rockettari, non ve lo potete perdere.

 

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