"Date a Cesare quel che è di Cesare". E mai tale regola fu più azzeccata, nel descrivere il power metal, genere tanto amato quanto blasonato. Perchè questo genere trova origine e riferimenti nella scuola tedesca della metà degli anni '90. Essì perchè Power Metal vuol dire prima di ogni cosa Rage, vuol dire Helloween, vuol dire Blind Guardian. Quegli stessi Blind Guardian che con "Battalions Of Fear" imposero la loro presenza, ma che erano già destinati a qualcosa di più elevato. Si dovette aspettare ancora qualche anno per capirlo, precisamente con l'uscita di "Somewhere Far Beyond", che li ha consegnati all'Olimpo del Metal, forti di un sound rinnovato e maturo. Da lì, la parabola è tutta in salita: se il picco massimo della loro produzione venne raggiunto da "Immaginations From The Other Side", probabilmente "Nightfall In Middle-Earth" rappresenta il capolavoro, la completezza, le parti e il tutto, la linea d'ombra, o come preferite chiamarlo. Purtroppo da questo momento le cose prenderanno una piega diversa, perchè la parabola a quanto pare ha iniziato a scendere, verso dove era partita ormai più di 15 anni fa.
Si, perchè questo "A Night At The Opera" è un disco talmente pacchiano, talmente noioso, talmente barocco, talmente epico che fa un bordello pazzesco senza suonare nemmeno un minuto. A dir la verità non sorprende più di tanto tale risultato, obiettivamente parlando "Nightfall..." era un album davvero superbo, e sarebbe stato difficile per chiunque uscire da quella situazione con un lavoro fresco, senza cadere nel "già sentito". Evidentemente per non dare vita ad un "Nightfall 2" la band di Hansi Kursch ha fatto un passo più lungo della gamba. Decisamente. Fin dalle prime battute di "Precious Jerusalem" si avverte qualcosa che non va. Il brano è noioso come pochi, difficilmente l'ascoltatore arriverà alla fine dei suoi sei minuti scarsi. A nulla serve la bella parte iniziale di "Battlefield", poichè anche questa tende a diventare con l'aumentare dei minuti rumorosa. "Under The Ice" parte bene, si preannuncia un ritorno ai Guardiani di un tempo. Il brano regge bene, ma i cori sono sempre troppo invadenti. L'energica "Sadly Sings Destiny" parte bene, riff azzeccati, ma chissà perchè resta anonima e non decolla. Attimi di quiete dopo la tempesta iniziale con "The Maiden And The Minstrel Knight", dolce brano dal sapore fortemente medioevale, come tutto il resto dell'album del resto. "Waited For An Answer" non presenta nulla di nuovo ai pezzi precedenti: elettronica a go-gò, cori a non finire, batteria potente (da questo punto di vista l'album non ha nulla da invidiare). Salvando "Age Of False Innocence", che bene o male si diversifica un po', tutto il resto dell'album si mantiene su questi toni. Brani complessi, ma decisamente di cattivo gusto. Poi si tocca il culmine quando arriva lei, la maestosa "...And Then There Was Silence". Quasi un quarto d'ora di tutto quello che avete ascoltato fino a questo momento. Una fatica immane reggerla per tutta la sua lunghezza, poichè già dopo due minuti si avverte la noia. Una delle poche cose salvabili di questo disco è la bonus track, la ballad "Harvest Of Sorrow", che soprattutto dal vivo è molto coinvolgente. Peccato che in Italia siamo costretti ad accontentarci della sua traslazione nella nostra lingua ("Frutto del Buio"), e se Hansi a volte non riesce a pronunciare bene l'inglese, immaginate l'italiano.
In definitiva il problema di quest'album non sta nella tecnica compositiva o nell'originalità del gruppo. Sta nel suo essere assurdo, nel suo tentativo disperato di non emulare "Nightfall In Middle-Earth". Operazione in parte riuscita, poichè sicuramente i quattro tedeschi non hanno mai prodotto nulla del genere. E aggiungerei un bel "meno male".
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