Chi conosce i blink-182 sa bene quanto sia sempre stato altalenante il rapporto tra Tom DeLonge, Travis Barker e Mark Hoppus.
Dopo tre album insieme e un enorme successo di pubblico, nel 2005 c’è stata la prima rottura. Sono arrivati i progetti paralleli e alternativi (Box Car Racer, Transplants, Angels & Airwaves, +44), poi il brutto incidente aereo di Travis Barker e l’inevitabile riavvicinamento del trio. Da qui la reunion nel febbraio 2009, accompagnata da un nuovo disco (Neighborhoods) con la Interscope Records e un Ep digitale (Dogs Eating Dogs) su etichetta indipendente. Infine una nuova rottura apparentemente insanabile, sei anni dopo, che ha allontanato DeLonge e avvicinato Matt Skiba degli Alkaline Trio. Il resto è storia.
Sarà la brutta malattia di Mark Hoppus (diagnosticata nell’estate del 2021 e superata tre mesi dopo) a riportare alla base DeLonge, facendolo riflettere su quanto sia stato inopportuno perdere nuovamente la rotta. Nasce da questo presupposto “One More Time”, il nuovo album del ritrovato trio di Poway, California.
Prodotto da Travis Barker e dedicato al compianto Jerry Finn (storico produttore scomparso prematuramente a soli 39 anni) “One More Time” è un disco costruito sulle basi della nostalgia positiva, spinto dalla suggestione e dal ripagamento dell’attesa per i fan storici, che non hanno mai perso la speranza di rivedere i loro beniamini di nuovo insieme.
Il primo singolo, “Edging”, pubblicato nell’autunno dello scorso anno, è stato accolto con grande entusiasmo ma non ha scaldato particolarmente gli animi. Dal ritmo lento e cantilenante, ha l’unico merito di riportare DeLonge dietro il microfono, con quella voce nasale marchio di fabbrica della band.
Accade il contrario con “Anthem Part 3” e “Dance with me”, che scaraventano indietro nel tempo e danno proprio quello che ci si aspettava. Nei riff e nel rullante ci sono i blink di “Enema of the State” e “Take Off Your Pants and Jacket” (che contengono “Anthem” e “Anthem Part 2”), spensierati e con tanta voglia di fare casino. Se la prima è travestita da classico, la seconda, che è un esplicito omaggio ai Ramones, ha l’ulteriore merito di entrare prepotentemente in testa tramite il ritornello catchy e festaiolo.
Tra il divertimento e la spensieratezza, c’è anche tanta riflessione. Nelle diciassette tracce (forse troppe) si parla di amicizia ritrovata ma anche di difficoltà, di sofferenza e di pentimento. Il tutto è particolarmente evidente nella lenta ballad eponima “One More Time”, già entrata di diritto nel cuore e nella mente dei fan (e non solo). Tom canta delicatamente il suo reiterato mea culpa, pensando ai futili motivi che hanno portato alla separazione e a come l’orgoglio abbia dilatato i tempi del distacco:
I wish they told us
It shouldn’t take a sickness
Or airplanes falling out the sky
Do I have to die to hear you miss me
Do I have to die to hear you say goodbye
I don’t want to act like there’s tomorrow
I don’t want to wait to do this one more time
Lo stesso fine viene perseguito con “Terrified”, pezzo inizialmente destinato alla discografia dei Box Car Racer ma in definitiva entrato nell’orbita blink. Nel testo si fa riferimento alla maturità raggiunta diciott’anni prima con l’album omonimo (blink-182) e il cambio di sound che ha portato quella pubblicazione. Un ulteriore cambio è decisamente riscontrabile nella terza traccia,“Fell in Love”, dove a corde, batteria e voce sono affiancati il sintetizzatore e il vocoder, come da indicazioni di Travis Barker, influenzato in tal senso dalle varie recenti collaborazioni con artisti della generazione Z (Machine Gun Kelly e Willow Smith, tra gli altri).
Non mancano i pezzi interludio come “Turn this off!” e “Fuck face” (in pieno stile “Happy holidays, You bastard”), oppure “Hurt” (di “poche parole” introspettiva e rilassante) che fanno scatenare e sorridere soddisfatti, sempre in nome dell’operazione nostalgia, che trova la sua capostipite in “When We Were Young”.
Ma non ci sono solamente odi al passato in questo nuovo lavoro. Perché i blink dimostrano di essere ancora incredibilmente abili nel loro mestiere e lo capiamo con “More Than You Know”, “Bad News”, “Other Side” e soprattutto “Turpentine”. Tecnicamente notevoli, attingono tutte e tre dal glorioso passato ma portano anche aria nuova, dimostrando di essere ben lontane da una fossilizzazione fine a se stessa. “Turpentine”, nella fattispecie, è la rappresentazione del nuovo stile della band, che dopo più di trent’anni sta trovando obbligatoriamente una direzione più matura.
Non mancano neppure i punti deboli, identificabili in “You Don’t Know What You’ve Got”, “Blink Wave” e nella closing “Childhood”, che sono un po' troppo forzate e peccano di lentezza e ripetitività. Forse una tracklist più selettiva e meno prolissa avrebbe fatto bene all’economia del disco ma ciò non è comunque sufficiente a sminuirlo.
In definitiva, questo “One More Time” è un lavoro davvero godibile e ben fatto, con tutti i suoi difetti. Pur non avendo nulla a che vedere con i picchi raggiunti dagli storici successi della seconda metà degli anni Novanta, si fa apprezzare parecchio.
Solo ascoltando bene ogni traccia si potrà capire come Tom, Mark e Travis stiano tirando in ballo il passato per dare un nuovo e definitivo senso al futuro. Ci vogliono dire che è possibile realizzare un nuovo album insieme, pensando già al prossimo, senza doversi necessariamente sedere a sfogliarne uno pieno di vecchie fotografie ingiallite. Anche se è innegabile che ricordare aiuti comunque a crescere.
Ancora una volta.
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