380 km. Questa la distanza che mi separa da un sogno. Vicino o lontano che si consideri non importa, l’ho colmata un giorno ed è stato come non mi aspettavo, sono rimasto totalmente incosciente.

Distanze siderali accomunano il mio rapporto con questo disco. Ho sempre avuto paura di rimetterlo sul lettore. È il cd più consumato, graffiato, unto che ho. Vorrà dire qualcosa.

Quei riquadri rosso sangue sulla copertina hanno inciso l’anima, questa prende il volo ogni volta che mi approccio a Melody of Certain Damaged Lemons. È il disco che rappresenta per me la differenza tra innamoramento ed amore. L’ascolto come facevo da bambino ma ora sono cresciutello. L’ascolto e m’illudo di capire cosa voglia trasmettere.

È un monito a non rimanere ancorati al passato, a capire le proprie emozioni e a lasciarsi travolgere da esse. Non lo prendo alla leggera perché ricordo che fin da piccolo queste melodie incutevano forte angoscia e soggezione. Come l’attrazione fatale della falena notturna per i lampioni, ho sempre sbattuto contro quest’opera, nel tentativo di coglierne sfumature nascoste, un’essenza.

Ed è sempre una nuova scoperta, perché il timbro di Kazu Makino non solo è inafferrabile, è velenoso, stride con grazia sui comuni mortali che hanno avuto il piacere di ascoltarlo almeno una volta nella propria vita.

Gli errori commessi, si spera in buona fede, vengono smascherati quando metto su il cd. Come fa un supporto così piccolo a contenere tanta grandezza? L’umore generale che aleggia è cupo, come triste è la sorte di chi rimugina sui propri passi. Molte fotografie mentali si susseguono all’ascolto. Quadretti sanguigni appunto, ferite aperte, cicatrici che faticano a guarire. A volte, nelle giornate buone, riesco quasi a visualizzare queste immagini e provo stupore e dolore.

Non è un caso se il primo verso del disco recita così:

Lying on my back, I heard music

Felt unsure and catastrophic

Had to tell myself it's only music

It blows my mind, but it's like that

Non è un caso se le due composizioni (per il sottoscritto) più rilevanti sono precedute da brevi digressioni strumentali, come a voler prendere un respiro profondo. Poi la discesa in un baratro fatto d’attrazione e allontanamento, di incomprensioni profonde tra due persone che cercano d’amarsi, di capirsi. È un botta e risposta tra Makino e Amedeo Pace, un rincorrere affannato di lui che prova a cogliere l’intimo mistero nascosto in lei.

You’ll be a freak

And I will keep you company

Questo l’ultimo sussurro del disco, l’ennesima marcia funebre del vuoto che incorre tra due persone che si vogliono bene ma che non conoscono l’amore, o se volete, dell’incomunicabilità.

Ora il cd l’ho in macchina, non lo schiodo di lì perché diventato parte integrante della carrozzeria insieme al santino di Keith Moon. Se un giorno qualcuno mi chiedesse di mettere su qualcosa saprei esattamente che esperienza fargli provare: il voltastomaco, le farfalle in pancia, l’innamoramento che precede l’amore e la consapevolezza che il tutto si regga su un filo sottilissimo. Quello di un ragno che attende un suo simile, pronto ad iniettare un veleno dolcissimo.

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