Un po' in ritardo il nuovo lavoro dei Blonde Redhead, visto che sono passati ben 4 anni dai limoni danneggiati di "Melody" e 3 dagli sviaggi linguistici di "Melodie Citronique"... e si sente, ciumbia se si sente. Bastano le prime, malinconiche note di Elephant Woman: atmosfere decadenti dal sapore classicheggiante e mitteleuropeo (dalla Touch&Go alla 4AD, si nota per caso?! i gemelli Cocteau bussano alla porta...), una trasposizione sonora, realizzata con dosi massicce di tastiere e chitarre, dello stile Liberty (e fiori arzigogolati dappertutto, dal booklet alle T-shirt!); Simone e la sua batteria sempre mastodontici senza sembrarlo, le bellissime voci di Amedeo e della dolce, timida e assente Kazu e... l'elettronica? L'elettronica è la grande, apparente assente di "Misery": quelle sperimentazioni aspre che nel 2000 avevano marchiato a fuoco quel capolavoro che è "Melody of Certain Damaged Lemons" ora si riducono a un impercettibile sottofondo, ritoccano, rifiniscono, ma passano in secondo piano.
Canzoni dunque, nel senso classicamente inteso: la prima impressione è che si assomiglino un pò tutte tra loro, ma qui si nasconde la bellezza del disco: qualche ascolto e queste melodie non le togli più dalla testa, e volta dopo volta ti accorgi di sfumature prima passate inosservate... come dire, la complessità dietro la semplicità.
Risultato? Un disco diverso, etereo, soffice e delicato (Air meno elettronici, My Bloody Valentine più puliti e pacati, Smiths, Japan e Cabaret Voltaire meno anni '80, tutto nel frullatore e premi start), in alcuni casi al confine del sogno (Anticipate, Magic Mountain); sembra che la sola Equus, posta in chiusura, mantenga contatti con un passato recente della band ("In an Expression..."), ma forse sono sparsi in tutto il disco più legami con "Melodie Citronique", specie per gli echi di Serge Gainsbourg (del cantautore francese rifecero Slogan 3 anni fa) e per l'influenza di certe sonorità tipiche della musica leggera italiana dei '60 - '70 (Battisti su tutti, che peraltro i gemelli Pace hanno confermato di apprezzare).
Insomma, non un disco alla Blonde Redhead come li conoscevamo.
Forse un passo indietro, inevitabile, rispetto al predecessore, ma... prendete i Radiohead: sono sempre andati avanti nella complessità, con coraggio, e adesso si sono impantanati in un capolavoro di tecnica da cui però traspira poco o nulla in sentimento, tanto è asettico...
...a volte forse è bene fare rewind, alla Blonde Redhead, e cambiare rotta.
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