L'ultra seminale gruppo di Long Island è ancora vivo e vegeto e gira tuttora gli Stati Uniti dando concerti qua e là. Purtroppo ha smesso da un pezzo di produrre materiale nuovo e infatti questo, che è il loro più recente album di inediti, risale all'ormai lontano 2001. Peccato, perché non è davvero niente male, intrigante già dal nome ("La maledizione dello specchio segreto") decisamente in linea coi tanti titoli sci-fi ed apocalittici collezionati da questa grandissima band nella sua lunga carriera.

Il disco parte un po' moscio, ma poi scalda ben presto gli animi grazie a un portentoso crescendo nel corso delle prime cinque canzoni. Entrando nel merito, l'incipit "Dance Of Still" è poco interessante: il riff di chitarra sbocconcellato dal suo autore Buck Dharma non prelude a sviluppi abbastanza efficaci.

Però già al secondo contributo "Showtime" il fascino del Culto dell'Ostrica Blu si staglia all'orizzonte, con la voce acida del prode Eric Bloom a tranciare strofe e ritornelli da par suo. L'occhialuto singer principale e chitarrista di complemento continua a svettare nella successiva e ancor migliore "The Old Gods Return", obliqua e pericolosa come sanno ben essere le uscite di questo gruppo quando è lui a interpretarle.

Fa piacere a questo punto gustarsi il nuovo cambio di atmosfera e tensione, col ritorno della vocalità più rilassata e malinconica dell'altro chitarrista Dharma, per una superba "Pocket" che associa il ritmo asfissiante e il rifferama corposo del miglior hard rock con l'ineguagliabile ispirazione melodica che contraddistingue questo musicista, di scarsa statura fisica ma imponente statura artistica. Il ritornello è poi una goduria, per come si distende guarnito da indovinate voci in risposta dei compagni e da un testo bellissimo.

Il gran finale del già sottolineato crescendo qualitativo che caratterizza questo lavoro è fornito dalla quinta traccia "One Step Ahead Of The Devil", quintessenza dell'arte dei BOC di creare rock duro visionario e sinistro, con Bloom ancora più scatenato a lanciare la sua voce verso l'altissimo, mentre il batterista paisà Bobby Rondinelli viene lasciato libero di esprimere tutta la propria creatività e voglia di protagonismo. Troppo spesso ci si dimentica dei Blue Öyster Cult quando si vanno a stilare le liste delle migliori rock band, o di quelle più influenti, originali, creative. Questo più che altro in Europa, perché al di là dell'Atlantico essi sono un consolidato mito musicale, specie per addetti ai lavori, musicisti, produttori e compagnia bella.

Arrivato alla sua metà, l'album comincia però a calare di qualità: "I Just Like To Be Bad" ricicla un po' troppo marcatamente percorsi melodici già sentiti nel loro repertorio, mentre "Here Comes That Feeling" ha un banale, quasi irritante ritornello benché l'ammirevole Donald Roeser alias Buck Dharma, specie di David Gilmour d'America (nel senso che, pur con timbro e stile sia vocale che chitarristico diversi, ha in comune col sommo solista britannico un'enorme dotazione di musicalità e fluidità), vi suoni spaventevolmente bene.

L'ultimo vertice è rappresentato dalla ballata "Out Of The Darkness", resa quanto di più lontano dal soft dalla voce sempre feroce di Eric Bloom che poi canta la sua ultima, pregevole melodia su "Stone Of Love". Ma suona bene anche la chiusura di "Good To Feel Hungry", per via di un impianto molto più swingante del resto dell'album, col suono della chitarra elettrica che si fa nell'occasione più sottile e prende a duellare, per una volta alla pari, con l'organo del compianto Allen Lanier, un po' alla maniera dei Deep Purple.

Questo quintetto newyorkese ha residenza fissa nella mia personale Top Thirty del rock di ogni tempo, specie grazie all'emozionante ricordo dei primi, giovanili ascolti di alcuni fra i loro più riusciti e fascinosi dischi, ripieni di somma consistenza compositiva, esecutiva e lirica. Ma anche questo tardo prodotto di carriera è cosa più che degna: i suoni sono perfetti, la chitarra ha calore e spessore speciali, i due cantanti così diversi e così efficaci come e più di sempre tengono botta, la sezione ritmica viaggia a mille (con Rondinelli un po' troppo in primo piano, trovo).

A mio gusto quello dei BOC è uno fra gli hard rock più perfetti e completi e senza tempo che vi siano, giusto mix fra accessibilità e urticanza, il tutto condito con personalità da vendere e badilate di mestiere, ma senza ruggini. Mostruosamente bravi ora e sempre, anche qui al crepuscolo di carriera, e con la capacità di non stancare. In una parola: immortali.

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