"777: The Desanctification" è stato pubblicato l'11 novembre: l'ultimo giorno binario del secolo. Spero che ve lo siate goduto, perché il prossimo giungerà tra 89 anni. Più o meno il tempo che l'umanità impiegherà a comprendere fino in fondo questo disco.

Secondo capitolo della trilogia, di nome e di fatto. Dopo un lavoro allucinante come "777: Sect(s)", i Blut Aus Nord si spingono ancora più in là lungo il sentiero dell'escatologia musicale, disumanizzando ulteriormente il loro sound e, in fin dei conti, anche se stessi. Se il precedente disco si concludeva con una sesta epitome palesemente mistica ed esoterica, qui questi caratteri si dilatano fino a risultare coestensivi a tutta l'opera. In mezzo alla caligine di queste sette tracce non troviamo più traccia della furia cieca delle prime epitomi, tratto distintivo dell'essere umano, ma abbiamo l'impressione che, durante la nostra esperienza iniziatica, a suonare sia una gigantesca macchina soverchiante.

C'è continuità, dunque, ma c'è anche uno scarto. E'un capitolo più oscuro, strumentale, ipnotico, ripetitivo; non possono non sovvenirci i Godflesh, ricordo corroborato dalle molteplici contaminazioni industrial del diabolico Feld; tuttavia, giudicatemi folle, ma in alcuni momenti (come all'inizio della decima epitome) mi sono venuti in mente anche gli ultimi Enslaved. E i suoni più gravi non indicano altro se non le pulsazioni di uno spietato cuore meccanico.

Difficile l'interpretazione della copertina: è forse un'allusione al peccato originale? O forse è l'uomo stesso ad essere il male, facendo piangere le intelligenze celesti? Di sicuro c'è che questo è un disco che libera ed è libero: tratta della liberazione dell'uomo dalle superstizioni e dalle sue catene mentali, spaccando a colpi di martello le convenzioni; ed è libero: dagli stilemi usuali, dalle regole, dalla logica.

La settima traccia rappresenta l'intero insieme: un Black metal semi-irriconoscibile mischiato ad accenti vagamente Drone e a un giro di batteria quasi hip-hop domina la prima parte, perché poi si confluisca, in seguito a un raccordo melodico, in una prosecuzione disturbante e malata. Ed è così che "The Desanctification" si chiude: con un Noise letale e angoscioso. La transizione è ormai completata, e a pensare al successivo "Cosmosophy" non si può che rabbrividire. E in mezzo a tutto questo universo stritolante, possiamo dissetarci nell'oasi della nona epitome; citando Baricco: "Era come se tutto fosse finito in un acquario, come se tutto si muovesse a mollo nell'acqua, senza spigoli e lentamente".

Nietzsche in musica, signori. Più di così, non so che cosa fare.

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