Correva l'anno 1989 ed era dai tempi di Infidels che Bob Dylan non pubblicava lavori all'altezza delle sue capacità e della sua fama: una serie di dischi poco curati distrutti da scellerate produzioni di cattivo gusto. Il primo passo fu quindi dare un "suono" che esaltasse le qualità delle canzoni e così la produzione fu assegnata al geniale Daniel Lanois, il disco che ne uscì è Oh Mercy ed il risultato fu sbalorditivo!

Fin dalle prime note l'ascoltatore è introdotto in un mondo magico, fatto di suoni densi e caldi, mentre passano in rassegna brani di una bellezza dirompente, di un'intensità superiore che solo Dylan riesce a dare con il suo tocco.
Come non rimanere attoniti di fronte a "Man In The Long Black Coat", gente come Tom Waits o Nick Cave (per fare solo due nomi) è da sempre alla ricerca di scrivere momenti così splendenti e vigorosi.

Oh Mercy, un disco, la realtà, un sogno reale o meglio: la realtà di "una serie di sogni" che ci racconta di posti dove cadono le lacrime, di montagne piene di pecore smarrite, di campane che scandiscono la perdita dell'innocenza, di gente che soffre e lotta nella notte a causa della malattia della Vanità, confini invisibili, strade incorniciate da alberi africani in cui soffiano delle brezze minacciose.
Un mondo dove tutto è un compromesso, in cui tutto è spezzato, dalle strade ai cuori, un mondo senza amore, senza dignità in cui non si distingue più il bene dal male, un mondo sovrastato dalla figura dell'uomo con il lungo cappotto nero, ladro di sogni, ladro d'amore, che ci lascia soli con i nostri rimpianti e i nostri ricordi, soli in mondo di stelle cadenti, che bruciano in pochi istanti e svaniscono nell'immensa oscurità, dove una solitaria voce sussurra, grida, invoca e ripete sempre la stessa parola: pietà!

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