Già in precedenza ho recensito film cosiddetti minori (ma niente affatto di scarsa qualità, anzi..) di registi passati alla storia per altre pellicole baciate dal successo di critica e pubblico. E quanto vado ad illustrare ne è l'ennesima conferma. Nominando Bob Fosse i più lo associano a titoli significativi come "Cabaret", "All that jazz", ma sinceramente non so quanti ricordino un suo film scomodo come "Lenny" realizzato nel 1974. Ho impiegato l'aggettivo scomodo poiché il nome del titolo è quello di Lenny Bruce, celebre cabarettista che in vita inquieto' parecchio i benpensanti dell'America perbenista e ipocrita, tanto da fargli pagare a caro prezzo il successo riscosso nei suoi shows apprezzati da spettatori liberal. In un certo senso lo si potrebbe definire un martire della giusta causa della libertà di espressione e pensiero, non sempre rispettata in quegli anni in Usa (morì di overdose di eroina nel 1966).

Basato sull'omonima piece teatrale di Julian Barry realizzata nel 1971, il film ci accompagna nell'ascesa di Lenny Bruce che, agli esordi intorno al 1951, non riscuote interesse dal pubblico, annoiato e perplesso per certe sue imitazioni di altri comici. Ma, dopo essersi unito ad un' attraente spogliarellista di nome Hot Honey Harlow, Lenny acquisirà più scioltezza sul palco ed inizierà a proporre monologhi su grandi temi come razzismo, politica, religione, sesso, mostrando una vena sarcastica ed un linguaggio disinibito per gli standard morali e sociali dell'epoca. Questo suo stile era dettato dalla convinzione che la repressione di un vocabolo ritenuto offensivo non facesse altro che donare violenza allo stesso. Quindi, se si fossero ripetute a mo' di scioglilingua certe parole come "negro", "figa", "cazzo" alla fine sarebbero passate per assolutamente normali. Forse oggi questo concetto è stato assimilato, ma provate a pensare la reazione conseguente in quell'America, fra gli anni '50 e' 60, molto puritana e con un rapporto ambivalente ad esempio con il tema del sesso (un certo Hugh Hefner aveva creato la prima rivista per soli uomini "Playboy" e si stava arricchendo..).

Sarà quindi solo questione di tempo perché inizino ad arrivare le prime denunce per oscenità con relativi arresti (solo nel 2003 tali accuse decadranno su decisione dell'allora governatore di New York George Pataki). Come ben rappresentato nel film, in uno spettacolo di cabaret nel 1961 Lenny pronuncerà, fra gli altri termini, il vocabolo "cocksucking" (immagino che conosciate bene l'inglese) e da lì inizieranno i guai giudiziari del performer. Perché, come disse una volta Keith Richards, "una volta che sei nei guai con la polizia lo sei poi per sempre" e a Bruce non basterà, nello spettacolo successivo, sostituire la parola censurata con una frase del tipo "avete mai fatto un blablabla?". Altri arresti, denunce, processi da cui uscirà assolto fino ad una prima condanna nel 1964 e questo influirà molto sulla qualità dei suoi monologhi, oltre a trascinarlo in una spirale di debiti per sostenere spese legali e in una tossicodipendenza che gli costerà la vita.

Girato in un bianco e nero tecnicamente impeccabile, "Lenny" restituisce onore al padre della stand up comedy e getta luce sull'ipocrisia imperante in quell'America. Lenny Bruce non le ha mai mandate a dire contro tante storture sociali come quando definisce scandaloso che, mentre per uno spettacolo a Las Vegas l'attrice Zsa Zsa Gabor è pagata 60000 dollari, lo stipendio medio mensile di un insegnante è di soli 6000 dollari. Indubbiamente un indice di squilibrio non solo economico, ma anche etico.

E al fascino del film contribuiscono la recitazione sia di Valerie Perrine nei panni (a volte succinti) della spogliarellista Harlow sposata a Lenny, sia di uno strepitoso Dustin Hoffman. Di lui tutti noi ricordiamo recitazioni sublimi in grandi film come "Il laureato", "Un uomo da marciapiede", "Il maratoneta", ma qui la sua immedesimazione nel protagonista è così smagliante da indurre a credere che Lenny Bruce sia tornato in vita e lotti ancora per esprimersi liberamente senza censure. Una battaglia sempre giusta e sacrosanta, in un mondo come l'attuale in cui troppe persone in varie nazioni sono ingiustamente incarcerate per reati di opinione.

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