Me and Bonnie McGee Tyler: resoconto di un amore a prima vista.
Gli anni '80 per il pop sono stati una catastrofe di proporzioni immani: il diluvio universale, il Ragnarok, Waterloo, Little Big Horn, le Termopili o quello che volete voi, fatto sta che da quella decade il pop uscirà completamente distrutto, svalutato, svilito e mercificato ma comunque, anche in quegli anni qualche seme selvaggio, portato dal vento, è riuscito comunque a germogliare, ed a fiorire prima di essere soffocato dalle sterpaglie. Penso alla briosa, colorata ma tutt'altro che posticcia e superficiale Cyndi Lauper, la cui storia è assolutamente emblematica, e penso soprattutto a Gaynor Hopkins, in arte Bonnie Tyler: una bella donna, bionda ed appariscente, figlia di minatore gallese.
Nel 1977, quando aveva appena iniziato la sua carriera musicale, rischiò di dover dire addio al suo sogno ed al suo talento per via di un problema alle corde vocali diagnosticato in ritardo che la costrinse ad una delicata operazione; rischiava di non poter più cantare, la bella Gaynor, ed invece da quel male sboccerà il suo più grande dono: l'operazione che stravolge le sue corde vocali modifica completamente il suo timbro di voce, trasformandolo in un roco e potente ruggito: una vocalità straordinaria, immediatamente riconoscibile, e tremendamente affascinante: non si tratta tuttavia di una voce androgina come quella, ad esempio, di Annie Lennox, no: Bonnie Tyler è meravigliosamente femminile, il suo canto è la cristallina è espressione di una femminilità autentica, intensa, straripante, non allineata. La sua scalata verso il paradiso può quindi cominciare; correva l'anno 1983 e Bonnie Tyler centra il colpo grosso: "Total Eclipse Of The Heart", singolo di lancio dell'album "Faster Than The Speed Of Night" è una di quelle canzoni che lasciano il segno; Freddie Mercury avrebbe fatto carte false per scrivere una canzone come questa: la quintessenza della power-ballad, un crescendo gospel-orchestrale di rara potenza, una canzone che fa dell'enfaticità tipicamente (spesso in modo deteriore) ottantiana il suo punto di forza, nobilitata da una raffinatezza non comune e soprattutto da quella voce così particolare. Era nata una stella, che (quasi) come tutte le più belle cose durò solo per il fuggevole tempo di una hit, per poi sfumare nell'anonimato, da cui merita di essere risollevata e celebrata come merita.
La musica di Bonnie Tyler si ascolta a volume rigorosamente alto: pop, pop-rock, AOR anni '80, adult contemporary, chiamatela come vi pare, ma è comunque grande musica, una musica forte, decisa, di quelle che scuotono da dentro, che danno carica, grinta e sorriso: canzoni immediate, dirette, ritornelli da cantare a squarciagola. Bonnie è una semplice interprete ma la sua voce è così dirompente, le sue interpretazioni così passionali che quelle melodie evergreen è come se fossero sue a tutte gli effetti; dietro ai sintetizzatori, ai cori, alle chitarre c'è un cuore che pulsa, c'è emozione, c'è un'artista vera, e questa raccolta del 1993 la fotografa in tutto il suo splendore, nel pieno dei fasti della sua epoca d'oro: "The Very Best Of Bonnie Tyler" è un disco fondamentale per capire quanto sia bello il Pop, quello vero, e cosa sia un'interprete con la I maiuscola, soprattutto in tempi in cui si dice che insopportabili mezze tacche come Anastacia e Beyonce abbiano delle grandi voci.
Quasi tutte la canzoni presenti in questa raccolta hanno un'ossatura rock a volte influenzata dal synth-pop, comunque mai dominante; gli arrangiamenti sono molto curati, ricchi e "bombastici", una scelta certamente in linea coi tempi, ma che si sposa alla perfezione con il timbro potente della cantante gallese; tuttavia ad aprire la danze c'è lo sbarazzino e leggiadro pop-folk di "Lost In France", che permette di apprezzare la voce di Bonnie Tyler prima dell'operazione, più soffice e leggera ma pur sempre intensa e magnetica, quindi le ballate dal sapore country "Here Am I" e la fortunata "It's A Heartache". Dopo questo gustoso preambolo datato 1977-1978 la raccolta entra nel vivo, in tutta la sua ottantiana magnificenza; in una decade in cui gli ABBA si sciolgono, Elton John è un'iperproduttiva ombra di sé stesso e i Bee Gees colano letteralmente a picco dopo "Living Eyes" Bonnie Tyler colleziona ottimi album e tante grandi canzoni; lei, che di certo non è un genio della musica come i signori sopra citati, con la sua grinta, il suo ruggito felino e la sua tenacia ed umiltà se il beve tutti. "Total Eclipse Of The Heart", in tutta la sua magnificenza, su cui non serve aggiungere altro, l'altrettanto epica "Loving You Is A Dirty Job But Somebody's Gotta Do It", una cavalcata di quasi otto minuti duettata con Todd Rundgren, "Hide Your Heart", un potente hard-rock firmato Paul Stanley perfetto per esaltare il ruggito felino di Bonnie Tyler, mentre "Holding Out For A Hero" attinge a piene mani dalla disco anni '70, risultando per essere una specie di "It's Raining Man" iper-vitaminizzata, di sicuro impatto. "If You Were A Woman And I Were A Man" lascia basiti per il suo ritornello praticamente identico a quello della contemporanea "You Give Love A Bad Name" dei Bon Jovi; dopotutto entrambe le canzoni portano la firma del famigerato Desmond Child, hitmaker su scala industriale di professione, ma, ovviamente, Bonnie Tyler con la sua classe riesce a salvare il pezzo dalla mediocre plasticosità coatto-rockettara a cui era altrimenti destinato con risultati più che dignitosi. In ogni caso molto meglio l'elettronica sognante e raffinata di "Islands", bellissima collaborazione con Mike Oldfield, l'inedita "I Can't Leave Your Love Alone", che per il suo ampio uso dei sintetizzatori e la melodia intrigante ed ipnotica riporta quasi alle atmosfere di quell'ineguagliabile ed eccelso capolavoro del pop che fu "The Visitors" degli ABBA con un pizzico di rock in più e due estratti dall'album "Bitterblue" del 1991, ovvero "Against The Wind", power-ballad di assoluta perfezione e la titletrack, un brano che, a fronte di un testo che è quanto di più banale e scontato ci possa essere mette in mostra un tiro pazzesco sia per la grinta e l'entusiasmo contagioso che questa voce pazzesca sa sprigionare che per il perfetto uso dell'elettronica, che crea una melodia dirompente ed anthemica senza tuttavia scadere nel pacchiano.
Tra tutte le raccolte dedicate a Bonnie Tyler, questa è sicuramente la migliore nonché la più esaustiva, anche se bisogna segnalare un errore marchiano come l'inserimento della non eccezionale cover di Bryan Adams "Straight From The Heart" a discapito della meravigliosa "Faster Than The Speed Of Night", ed anche le belle interpretazioni di "Piece Of My Heart" e "Have You Ever Seen The Rain", così come "Married Men (The World Is Full Of)", ma questo non pregiudica la perfetta riuscita di una raccolta che rende a questa meravigliosa voce del Pop, a questa diva autentica ed incompresa tutto l'onore che merita; pur non essendo una figura di assoluto spessore ad oggi non esiste un'altra Bonnie Tyler, non c'è una nuova voce neanche lontanamente paragonabile alla sua; nessuno in grado di riproporre questo genere di grande musica d'intrattenimento, questo mix di AOR, pop ed elettronica frizzante ed esplosivo; la bionda Gaynor Hopkins rimane quindi l'ultima della sua specie, una delle ultime Popstar veramente degne di tale nome.
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